Di seguito le parole di Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi ucciso a botte in una caserma dei Carabinieri, su La Stampa del 12/08/2020
Tutti possono vedere le immagini, chiare e nitide di quel video. Le ricostruzioni giornalistiche dei fatti non possono certo fare i processi, ma i video sì. I video sono spietati nella durezza di quelle immagini, non danno scampo, non cedono alle versioni delle cosiddette ‘fonti ufficiali’ che si sono soffermate a fornire spiegazioni e giustificazioni giuridicamente e civilmente inaccettabili. Potranno forse essere ignorati o diversamente interpretati nelle aule giudiziarie come spesso purtroppo accade. Vicenza mi ricorda quel ragazzo che finì in coma con la testa rotta mentre correva a fianco di un cellulare della polizia fuggendo dai luoghi dove si stavano verificando alcuni disordini dopo la partita di calcio Vicenza-Sanbenedettese. Luca Fanesi, colpito violentemente da alcune manganellate al capo secondo numerosi testimoni, colpito viceversa solo alle gambe e poi caduto violentemente contro una cancellata al suolo secondo la versione della polizia vicentina che venne poi smentita anche dai colleghi di Ascoli Piceno, anch’essi presenti e in servizio quel giorno, su genesi, origine e dinamica di quegli scontri.
Era il 2017. Ora attendo di poter sottoporre la sua richiesta di giustizia alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, quella vicentina ha archiviato tutto. Ma qui abbiamo un video, abbiamo anche le parole preziose e illuminanti del questore, come dicevamo. Voglio essere chiara, per non essere poi accusata dal tribuno di turno. Il giovanissimo ragazzo di colore si chiama Denis José Guerra Romero, è di origine cubana, vive del tutto legittimamente in Italia da sei anni, ha un lavoro onesto ed è incensurato. Circostanze come queste, che mi vergogno a sottolineare di fronte a quelle immagini che non si potrebbero comprendere nemmeno se il contesto fosse stato del tutto diverso e corrispondente ai comuni stereotipi che ci farebbero urlare frasi del tipo ‘in galera! Buttate via le chiavi!’. O ‘rimandatelo a calci a casa sua’. Ma sono proprio le parole del questore a farmi venire i brividi. Cito: “non c’è assolutamente atto di razzismo, nessuno dei miei uomini ha comportamenti razzisti, è una questione di educazione alla legalità. C’è l’uso della forza, ma non della violenza gratuita. La stessa cosa sarebbe potuta accadere a un italiano”.
Ecco, proprio secondo la sua ricostruzione dei fatti quel ragazzo non avrebbe esercitato nessuna forma di violenza nei confronti degli agenti o di chicchessia. Sarebbe solo stato reo di aver riso o deriso gli agenti insieme ad alcuni suoi amici che tuttavia smentiscono. Ma anche a voler credere al questore, come si può permettere di giustificare quella violenza, quella presa al collo che sappiamo tutti essere vietata dai manuali di polizia perché estremamente pericolosa? Come si può giustificare l’uso della forza nei confronti di chi fino a quel momento non aveva esercitato alcuna forma di violenza o minaccia? Non certo per norma di codice, che non lo consente. Per una “questione di educazione alla legalità, sarebbe potuto succedere anche a un ragazzo italiano”. Certo, io gli chiedo “Denis è un ragazzo normale, questo possiamo dirlo? Che non aveva commesso alcun reato, era stato maleducato. Aveva perciò perso il diritto di libertà, di stare dov’era. Era poi stato strozzato come un delinquente ed infine atterrato con una presa al collo pericolosissima. Ha avuto paura ed è scappato, e ora è agli arresti. La sua vita non sarà mai più come prima. E qual è la lezione che deve imparare? Quella dell’educazione a cui fa riferimento il questore? È semplice: Denis, immigrato regolare, tu non hai diritti, se non nella misura in cui ti possono essere concessi non dalla legge ma da chi la legge è chiamata ad applicare. Tu devi chiedere scusa sempre e comunque, perché purtroppo tante volte chi sbaglia portando la divisa è incapace di farlo. Questa è la lezione di educazione che devi imparare, e purtroppo la imparerai.
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