«Le persone non falliscono perché mirano troppo in alto e sbagliano, ma perché mirano troppo in basso e fanno centro».
Questa frase, contenuta nel bel romanzo di Matteo Bussola[1], certamente è una frase che colpisce, certamente è suggestiva. Fa riferimento a chi, magari per paura di fallire, non insegue e non cerca di realizzare i propri sogni e mira in basso, “si accontenta”: proprio così fallendo. Ma è una frase che potrebbe essere fraintesa e portare in una direzione pericolosa, quella troppo spesso indicata dalla società odierna: potrebbe essere interpretata come l’ennesimo obbligo ad avere successo, puntando in alto; potrebbe essere interpretata come l’ennesimo dovere a (provare) piacere. La direzione è pericolosa, perché è quella della competizione a tutti i costi, quella dell’essere e dell’avere di più a tutti i costi, la direzione che tanti danni fa a livello psicologico e sociale.
Gli adolescenti o, addirittura, i preadolescenti, rischiano di essere le principali vittime di questa competizione, di questa corsa al successo, a cui spesso non si sentono preparati, soffrendo così, davvero troppo presto, per esempio di problemi di bassa autostima, oppure di incapacità di sopportare la mancanza.
È sicuramente interessante a questo proposito un libro che ha fatto molto discutere, Iperconnessi (sottotitolo: Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti), di Jean Marie Twenge[2]. I rischi di cui stiamo parlando sono ben descritti anche in un articolo di Giulio Costa, dove si legge: «Ragazzi che fin dall’infanzia sentono il peso di dover dimostrare sia ai propri coetanei sia agli adulti di saper creare tanti e importanti legami con l’Altro, vivendo quindi la relazione in un’ottica performativa: il peso del dover essere a tutti i costi bravi a scuola, vincenti nello sport, talenti nella musica e nelle relazioni. Sbagliare non è ammesso e fallire è proibito, perché sbagliare vuol dire infettare la propria identità e quindi sentirsi falliti […]»[3].
Un antidoto agli imperativi del successo può essere costituito da una certa filosofia, da un certo modo di pensare. Un bell’esempio lo troviamo nel fortunato libro Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità (anche se l’autore, Yuval Noah Harari, non è un filosofo ma piuttosto uno storico).
In questo libro leggiamo per esempio: «Ma la scoperta più importante di tutte è che la felicità in realtà non dipende da condizioni oggettive di ricchezza, salute e relazioni sociali. Dipende invece dal rapporto tra le condizioni oggettive e le aspettative soggettive. Se vuoi un carro da buoi e ti procuri un carro da buoi, sei contento. Se vuoi una Ferrari fiammante e riesci a procurarti solo una Fiat di seconda mano, ti senti frustrato. […] Profeti, poeti e filosofi hanno capito migliaia di anni fa che essere soddisfatti di ciò che già abbiamo è assai più importante di ottenere ciò che si vuole. […] È tutta una questione di aspettative»[4].
Quindi, alla frase iniziale di Bussola mi pare giusto affiancare quella di un filosofo greco di più di duemila anni fa, Epicuro: «Non rovinare ciò che hai con il desiderio di ciò che non hai»: che non è il banale invito ad “accontentarsi”; è invece l’invito a saper godere di ciò che si ha, a essere attenti a ciò che si ha, a saper vivere nel presente. È questo il vero significato del carpe diem: non significa “godi di tutto oggi”, significa invece “godi di ciò che l’oggi ti può dare”. Possiamo inseguire e cercare di realizzare i nostri sogni: ma non dimentichiamo e non trascuriamo ciò che già abbiamo. Possiamo avere un piede e un occhio nel futuro: ma è importante avere anche un piede e un occhio nel presente.
[1] M. Bussola, L’invenzione di noi due, Einaudi, Torino 2020, p. 89.
[2] J. M. Twenge, Iperconnessi, Einaudi, Torino 2018.
[3] G. Costa, Generazione spillover, «Mind», n. 188, 2020, p. 46.
[4] Y. N. Harari, Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani, Milano 2014, pp. 475-477.
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a cura di Michele Lucivero
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Prof. Mario D’Angelo
Docente di ruolo di Storia e Filosofia presso il Liceo Statale “Corradini” di Thiene (VI); docente a contratto di Linguistica e Filosofia del linguaggio per il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova (Corso di Laurea in Logopedia); Direttore della SAFICOF – Scuola di Alta Formazione in Counseling Filosofico; Vice-Presidente dell’Associazione Pro Senectute di Vicenza; counselor filosofico, certificato da AssoCounseling – Associazione Professionale di Categoria (con la qualifica di Supervisor Counselor e Trainer Counselor); operatore di Training Autogeno, certificato da ICSAT – Italian Committee for the Study of Autogenic Therapy and Autogenic Training. Esperto di tematiche relative alla mente, al linguaggio, alla comunicazione, al rapporto tra pensieri ed emozioni e al disagio esistenziale. Autore di diversi articoli pubblicati su riviste specializzate e co-curatore del volume Counseling filosofico e ricerca di senso (Liguori Editore, 2008). È convinto che la filosofia possa e debba vivere anche fuori dal Liceo e dall’Università, incontrando le persone e accompagnandole nella loro ricerca di senso, nella loro ricerca di chi sono e di chi vogliono essere, nel loro desiderio di stare meglio con se stesse e con gli altri. È titolare di Modus in Rebus – Studio di Counseling Filosofico, a Vicenza. Il suo blog è https://mariodangelo.wordpress.com/