Si riprende: grazie al… Covid la scuola è un “problema” da affrontare, ma solo logistico e non contenutistico

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Scuola, una classe vuota: solo fisicamente?
Scuola, una classe vuota: solo fisicamente?

Non c’è dubbio che in questi giorni la ripresa dell’attività scolastica ponga all’attenzione dei media, dei professionisti dell’educazione e di tutta la popolazione che con la scuola ha qualcosa a che fare, anche per aver frequentato un paio di anni all’asilo nido, la necessità di argomentare a proposito della scuola.

È evidente, dunque, che oggi la scuola è diventata un “problema” e quando un oggetto o una istituzione diventa un problema è inevitabile che si organizzino intorno ad essa degli schieramenti pro o contro di essa, ma soprattutto si producano soluzioni per risolvere il “problema” della scuola sia dal punto di vista logistico sia dal punto di vista dei complessi processi di formazione ed educazione, per i quali è sicuro che anche la signora che ieri mi sedeva accanto al bar, esperta di processi d’interazione diretta tra settore merceologico ortofrutticolo e soggetti necessitanti di soddisfare i bisogni primari (la fruttarola), abbia delle ottime soluzioni.

Cerchiamo, tuttavia, di capire quando qualcosa diventa un “problema” per la società. In primo luogo, si può ritenere che un oggetto dell’esperienza diventi problematico quando esso non funziona più a dovere, non risponde più alle esigenze dei soggetti e non soddisfa più i loro bisogni, per cui emerge in maniera netta rispetto ad un momento precedente, quando era dato per scontato. Ad un certo punto questo oggetto, o questa esperienza, si stacca dallo sfondo in cui era incastonato e comincia a ricevere attenzione, ad essere investito di riflessione e diventa problematico per i soggetti.

Ebbene, effettivamente la scuola era un momento routinario della vita delle persone, soprattutto quelle con figli a carico, giacché si configurava come un impegno da assolvere quotidianamente con dei tempi scanditi e che si esauriva, per la maggior parte delle persone, nell’organizzare la sveglia per accompagnare all’ingresso i propri figli e nel coordinare gli impegni dei nonni o della babysitter per andarli a prendere. Non è escluso che talvolta il “problema della scuola” potesse comparire in occasione di scioperi o di assemblee sindacali degli insegnanti, ma si tratta di disservizi che, tutto sommato, rientrano presto e dopo la scuola pubblica ritorna ad accogliere le ragazze e i ragazzi che, altrimenti, non sapremmo dove intrattenere, del resto, gratuitamente.

Il secondo elemento che caratterizza l’emergere di un “problema” è costituito dal fatto che la società, le istituzioni, i singoli soggetti, titolati e non, si affannino intorno alla necessità di trovare una soluzione al problema, di comprendere i motivi per cui si è imposto all’attenzione del soggetto e di modificare ciò che nel frattempo è cambiato, prospettando scenari idilliaci e funzionali, ovviamente, alle esigenze di ciascuno, infatti per la signora esperta, di cui sopra, il problema della scuola è costituito dal fatto che le maestre, l’ha constatato lei durante la DAD, non riescono a farsi ascoltare dai ragazzi, hanno letto una storia e poi li hanno lasciati allo sbando, continuando a prendere lo stipendio per sei mesi senza far nulla.

Claudio Scandola scripsit
Claudio Scandola scripsit

Certo, la signora è in buona compagnia, avrà preso coraggio ad esporsi perché avrà letto il trafiletto o, forse solo il titolo, di Claudio Scandola, un personaggio alquanto misterioso, che giornalista non parrebbe essere, non si capisce di cosa sia esperto, se non in lettere a un giornale del nord est, ma ad ogni modo anche lui ha trovato la soluzione per i problemi della scuola: licenziare in tronco i lavoratori fragili, cioè quei docenti, magari intorno ai 60-65 anni con diverse patologie pregresse, che dovevano assolutamente restare in casa durante il lockdown e che, invece, adesso li mandiamo allo sbaraglio.

Insomma, la scuola è appena cominciata, ma è diventata un “problema” enorme per i genitori, perché oggi pretendono che in classe siano rispettate, e giustamente, tutte le precauzioni che loro hanno adottato finora per evitare che i figli si contagiassero. Ma tutto ciò è pressocché impossibile perché, nel caso non ve ne foste accorti, sono decenni che continuiamo a dire che la scuola è un “problema” perché bisogna investire in edilizia; perché in diverse scuole piove all’interno; perché in molte situazioni ci si trova a dover lavorare con 32 ragazzi e ragazze, molti dei quali e delle quali con diverse e differenti problematiche certificate, altre non certificate ma altrettanto importanti, che richiedono una personalizzazione dell’insegnamento; perché non ci sono insegnanti di sostegno per i più deboli; perché mancano ad oggi 100.000 docenti nelle nostre scuole, che è il normale turnover non rimpiazzato; perché mancano migliaia di collaboratori scolastici per garantire che i ragazzi non vaghino nei corridoi e rimangano stipati nelle aule per tutto il tempo scolastico.

Ma sì, la scuola è diventata un “problema”, soprattutto dal punto di vista logistico e organizzativo, ma poi mi auguro che qualcuno, soprattutto gli esperti, quelli del settore, si pongano anche il “problema” di cosa sia diventata la scuola e di quale tipo di uomini e donne del futuro stiamo costruendo tra un Percorso per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento e un Progetto Formativo Individuale, prestando attenzione, talvolta, anche ai contenuti che veicoliamo, giacché ultimamente pare che i nostri ragazzi abbiano un po’ le idee confuse sulla nostra storia, sul nostro passato, al punto che perfino Mussolini pare che abbia fatto cose buone.