Agorà, la filosofia in piazza. Lucivero e Petracca: in era covid “Sorvegliare e Pulire”, il ruolo degli insegnanti nella scuola che non si ferma… eppure riparte

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Scuola, una classe vuota: solo fisicamente?
Scuola, una classe vuota: solo fisicamente?

Nel 1975 il filosofo francese Michel Foucault pubblicava un testo, dal titolo Sorvegliare e punire[1], che è divenuto una pietra miliare non solo per la filosofia, ma anche per la psichiatria, le scienze sociali, la giurisprudenza, che si sono misurate con una delle istituzioni più contestate e date per scontante della storia dell’umanità, vale a dire la prigione.

Agorà
Agorà

Sembra strano a molti, ma uno dei motivi per cui esiste la prigione è per rieducare, per correggere, cioè per dare un periodo di tempo a chi ha sbagliato affinché, privato momentaneamente della libertà, possa riflettere per poi, magari, non sbagliare più. L’analisi impietosa di Foucault, nel pieno dei gloriosi anni Settanta, era che la prigione non rieducava affatto, anzi generava un esercito di persone, corpi docili, da assoggettare variamente.

Andrea Petracca
Andrea Petrarca

Senza addentrarci in analisi mirabolanti sulla società contemporanea come società del controllo e senza pretendere che si debba leggere il testo del francese per conoscere la storia dei sistemi disciplinari mondiali, basterebbe anche solo dare un’occhiata alla quarta di copertina del libro in questione per comprendere il funzionamento di certe istituzioni: «Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni».

Dai tempi di Foucault, e anche grazie a quelli come Foucault, ad oggi molto è cambiato nelle istituzioni, molte non esistono più, come i manicomi, la leva obbligatoria, e anche a scuola la componente della punizione, un tempo molto più ricorrente per mezzo delle sanzioni, come note e sospensioni, è sempre meno utilizzata, giacché, lo sappiamo, è più importante far comprendere che reprimere, punire. In sostanza, abbiamo fatto un grande passo avanti a livello di civiltà nel pensare che l’umanità potesse essere educata e non punita, certamente sorvegliata, ma solo per poter fruire meglio di una libertà che resta sempre nelle mani del soggetto.

Michele Lucivero
Michele Lucivero

Tuttavia, la scuola di oggi, in seguito alle misure per contenere la diffusione di un virus insidioso con cui, pare, dovremo convivere per parecchio tempo, è diventata l’emblema di un nuovo imperativo per i docenti e i collaboratori scolastici: Sorvegliare e pulire.

Le indicazioni che i docenti hanno ricevuto sono del resto chiare: occorre sorvegliare gli alunni affinché mantengano il distanziamento sociale, soprattutto durante le ricreazioni; occorre registrare ogni loro uscita ai servizi per monitorare eventuali contatti da segnalare in caso di contagio; occorre controllare che i banchi siano disposti ad una determinata distanza e stabilire posti e file precise per i ragazzi e le ragazze; ogni movimento, insomma, dev’essere registrato e deve avvenire all’interno di spazi ben definiti, infatti sono comparsi all’interno e all’esterno di molte scuole dischetti adesivi sul pavimento per segnalare il percorso consentito; ma soprattutto si deve pulire, pulire e pulire

Nonostante, quindi, non si sia mai fermata, il 14 settembre la Scuola è ripartita per più di 5 milioni di studenti e, badate, si tratta della stessa scuola, in termini di edifici, di spazi esterni, di aule, palestre, laboratori. Anche per il corpodocenti e per il personale ATA non si notano differenze, rimanendo drammaticamente inalterate le carenze di organico. All’interno degli edifici scolastici, invece, arredi innovativi ne sostituiscono altri, ritenuti vetusti, ma soprattutto non idonei alla situazione di emergenza; ovunque, incollata sui muri o al pavimento, compare la rassicurante segnaletica garante del rispetto del distanziamento sociale (o fisico); igienizzanti ad ogni angolo ci ricordando di pulire le mani; le mascherine monouso sono distribuite ai docenti ad inizio giornata; disinfettanti spray per pulire cattedre e banchi alla fine di ogni attività; varchi differenziati per l’ingresso degli studenti al fine di evitare assembramenti; la campanella suona ad intervalli diversi dal solito, ma più o meno regolari, ogni 45, 50, 55 minuti.

Ci si abituerà. Le lezioni riprendono, finalmente in presenza. Questo dato non ci sfugge, perché si tratta di una grande conquista dovuta al lavoro certosino di dirigenti e staff, che in ogni istituzione scolastica hanno misurato il millimetro, sfruttando gli spazi esistenti per adeguarsi alle normative e consentire al maggior numero di studenti possibile di fruire del diritto all’istruzione.

Ma, come già nel 2007 scrivevano Miguel Benasayag e Angélique Del Rey: «Sarebbe difficile immaginare una forma di governo che imponga una disciplina di lungo periodo sulla vita quotidiana dei propri cittadini in nome di una minaccia legata a mutamenti ambientali o al pericolo di diffusione di una malattia infettiva»[2]. Cioè, quanto a lungo saremo in grado di sopportare come collettività, oltre che come singoli, di essere corpi docili a controlli asfissianti agiti sui nostri moti più spontanei[3], senza che ci venga chiarito, infine, in che modo si vuole riformare il sistema scuola investendo sull’edilizia scolastica, sulla qualità dei trasporti, su una formazione seria del personale e sulla stabilizzazione del personale precario?

Se, è vero che «una condizione di sorveglianza totale non può giustificarsi se non nel momento in cui (…) il nemico si risolve in una minaccia che può nascondersi ovunque»[4], il virus che si nasconde – ormai come un elefante dietro un ramoscello – è quello dell’inerzia della politica dietro un fumoso, apparente, movimento.

La scuola che cambia per rispondere alla minaccia del Covid-19 continua ad essere vittima di problemi strutturali (la mancanza di personale e di spazi adeguati, in Veneto, ad esempio, mancano 13.500 docenti) che erano già esplosivi ben prima dello scoppio della pandemia. Ecco perché le proposte in campo non devono considerarsi esaurite con la trasformazione di una parte del tempo scuola in attività di controllo e pulizia; i sacrifici di tutti dovrebbero essere accompagnati e incoraggiati da progetti che chiaramente spieghino in che direzione sta andando la necessaria ridefinizione degli spazi e dei tempi – e non solo di quelli legati alla dimensione scolastica – che l’impreparazione alla pandemia ha imposto. Perché se ciò non dovesse avvenire crediamo che – parafrasando Freud de Il Disagio della Civiltà[5] – la parte di felicità sacrificata alla nostra sicurezza finirebbe, a lungo andare, con l’essere davvero un prezzo troppo alto da pagare.

di Michele Lucivero e Andrea Petracca per Agorà. La filosofia in piazza

[1] Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976.

[2] Miguel Benasayag e Angélique Del Rey, Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano 2008, p. 17.

[4] Ivi, p. 19

[5] Sigmund Freud, Il disagio della civiltà, Einaudi, Torino 2010.


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a cura di Michele Lucivero

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