“Mal’aria”, rapporto Legambiente su qualità aria: Vicenza nettamente bocciata

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Inquinamento
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Legambiente ha pubblicato “Mal’aria”, il rapporto annuale sulla qualità dell’aria nelle città italiane. Premesso che proprio oggi è uscito anche uno studio sui legami tra smog e diffusione del Coronavirus in Pianura Padana mentre da domani scatta il blocco auto in città e che l’85% delle città viene bocciato da 5 anni a questa parte, va detto che Vicenza ne esce male: nella pagella con voti da 0 a 9 si becca infatti un 3.

I dati presi in considerazione analizzano inquinanti comuni a tutte le città, ma ogni città può presentare situazioni particolari e specifiche e può poi avere fonti emissive e inquinanti specifici che nella presente analisi non è stato possibile valutare. Ad esempio Vicenza è oggetto di studi e approfondimenti specifici da parte delle autorità in quanto la presenza di acciaierie e poli industriali inglobati nel tessuto urbano creano situazioni particolari che vanno al di là dei comuni problemi legati al traffico o al riscaldamento domestico.

“Come spesso accade la ricerca del “colpevole” non è mai semplice – spiega Legambiente -. Ogni anno giudizi e pareri, spesso affrettati o di parte, confondono le idee e non permettono di far emergere chiaramente la responsabilità di quei settori che incidono maggiormente sull’inquinamento, soprattutto nelle città. Questa confusione, spesso creata ad arte, non permette inoltre ai cittadini di capire il senso delle misure necessarie per ridurre l’inquinamento, e finisce per deresponsabilizzare non solo il decisore politico ma anche il singolo cittadino”.

Gli studi sempre più approfonditi di enti di ricerca, Agenzie di Protezione per l’Ambiente (ARPA) e delle comunità scientifiche internazionali, convergono nel dire che, a livello urbano, l’inquinamento atmosferico è dovuto prevalentemente dal “trasporto su strada”, ovvero dalle auto. Nonostante ogni anno frotte di politici, assessori e amministratori improvvisati scienziati
provino a dare la colpa alle “biomasse” per non colpire il settore dell’automobile, la verità è questa. Gli altri settori (i riscaldamenti appunto, ma anche le industrie e l’agricoltura su tutte), hanno sicuramente le loro responsabilità e contribuiscono anch’esse all’inquinamento atmosferico nel nostro Paese, ma il loro ruolo inizia ad essere più rilevante su una scala più ampia, regionale o nazionale, mentre nelle città il contributo più determinante all’inquinamento è dovuto al traffico.

“Appare evidente quindi come sia sempre meno rilevante parlare di fonti di particolato
primario – aggiunge ancora l’associazione – (dove i famigerati caminetti hanno un ruolo determinante) considerato che complessivamente pesano circa il 30% sulle concentrazioni di polveri misurate. Le misure dovranno intervenire prevalentemente sulle fonti delle polveri secondarie che incidono invece per il 70%. Particolare attenzione dovrà anche essere posta, per risultare davvero efficaci le soluzioni, al tema delle emissioni dovute alla risospensione delle particelle (che si assumono ‘già emesse’ e non vengono quindi considerate), su cui invece ha un ruolo importante la massa, oltre alla velocità, dei veicoli (e qui entrano in gioco i SUV che vanno tanto di moda negli ultimi anni).

“Inoltre, i primi dati delle centraline di monitoraggio, dicono che durante il periodo di lock
down dovuto all’emergenza Covid, c’è stato un calo delle concentrazioni di NO2 del 65%
e delle polveri sottili del 68% per il settore del trasporto su strada. A parità di caminetti
accesi, stufe funzionanti e riscaldamento operativi, la cosa che nelle città si è
completamente bloccata è la circolazione delle auto. Un recente studio condotto da un consorzio italiano che comprende consulenti (Arianet, modellistica), medici ed epidemiologi (ISDE Italia, Medici per l’Ambiente) e Legambiente, nonché la piattaforma MobileReporter incaricata del coordinamento e della comunicazione, ha quantificato per la prima volta in assoluto la quota di inquinamento nella città di Milano imputabile alle emissioni delle auto diesel che superano, nell’uso reale, i limiti fissati nelle prove di laboratorio che, come il diesel gate ci ha tristemente insegnato, sono state taroccate per anni. Il risultato è sorprendente: se tutti i veicoli diesel a Milano avessero emesso realmente quanto previsto dalle norme nell’uso di guida reale, l’inquinamento da NO2 (calcolato come media annuale) avrebbe permesso alla città di rientrare nei limiti di qualità dell’aria previsti dalla normativa europea. La conseguenza invece del mancato rispetto dei limiti ha portato alla stima di 568 decessi in più per la sola città di Milano, a causa dell’esposizione “fuorilegge” agli NO2 per un solo anno.