Matteo Salvini prova a reinventarsi un profilo istituzionale smarrito tra i fumi del Papeete e lo fa aggrappandosi all’astro nascente del leghismo e del centrodestra italiano. «Io e Luca siamo una coppia di fatto, lo sento più spesso di mia madre», il proclama di Venezia, corredato da una valanga di foto e video sui social che lo ritraggono in compagnia del governatore del Veneto. Entusiasmo non del tutto ricambiato, verrebbe da dire. Martedì, all’offerta di assumere la presidenza della Conferenza delle regioni, Zaia ha opposto un cortese ma inequivocabile rifiuto, declinando anche l’invito a prendere la parola alla “tre giorni” di Catania allestita in occasione del processo al segretario della Lega per il caso Gregoretti. Non bastasse, ieri, all’assemblea romana dei nuovi eletti nei consigli regionali (oltre duecento) il Luca-pigliatutto non si è fatto vedere: alla parata ufficiale di partito ha privilegiato il sostegno diretto ai candidati sindaci al ballottaggio – dapprima a Rovereto e Riva del Garda, poi a Castelfranco – mietendo ovunque una salva di applausi.La sensazione è che il rapporto tra i due sia improntato ad una sostanziale spartizione delle sfere d’influenza. Zaia si astiene da critiche esplicite alla leadership salviniana – anche in presenza di scelte che giudica non condivisibili – e riconosce il primato del segretario nella politica nazionale e sui banchi di Montecitorio.
Salvini, per parte sua, evita interferenze sostanziali nella “piccola patria di San Marco”: l’argomento nuova Giunta, nel colloquio a quattr’occhi di Palazzo Balbi, non è stato neppure sfiorato; né il rapporto di collaborazione istituzionale tra Regione e Governo Conte – mai così intenso, pur nella dialettica – risente delle turbolenze parlamentari.Tornando alla parata di Roma, si apprende che il Matteo in felpa ha arringato gli adepti in toni concilianti, additando il “modello Veneto” di pragmatismo e inclusione ad esempio da seguire; esortando anzi la delegazione guidata da Roberto Ciambetti a dare una mano agli amministratori “amici” delle Marche, ritrovatisi al timone dopo mezzo secolo di egemonia rossa.
Una punzecchiata a deputati e senatori («Metà di loro nel week end sparisce»), l’invito a rilanciare sezioni e tesseramento, poi la parola ai nuovi eletti. Valle d’Aosta, Liguria, Toscana, Campania, Puglia… E il gruppone nostrano? L’unico a proferire verbo è il “cimbro” Stefano Valdegamberi, fresco di iscrizione e di battaglia all’ultima preferenza (ha superato le 10 mila) nel Veronese. Avvio faticoso – a colazione aveva gozzovigliato – poi la proposta di trasformare la lotta alla burocrazia, a cominciare dai laccioli che soffocano le imprese, nel cavallo di battaglia della Lega tricolore.
Applausi convinti.