Sono stati presentati al XV Meeting del Gruppo Triveneto di Medicina della Riproduzione tenutosi a Padova il 9 ottobre 2020, i risultati di uno studio dell’equipe del prof. Carlo Foresta, ordinario di endocrinologia all’Università di Padova oltre che membro Consiglio Superiore di Sanità: trovate tracce di pfas nello sperma.
“Ha dimostrato la presenza delle sostanze perfluoroalchiliche – spiega Foresta – noti inquinanti ambientali con riconosciuta attività anti-ormonale, all’interno del liquido seminale di giovani maschi residenti nell’area rossa a massima esposizione da pfas della regione Veneto”.
La ricerca coordinata da Foresta, in collaborazione con il Dott. Andrea Di Nisio del dipartimento di medicina DIMED, ha dimostrato per la prima volta a livello internazionale come circa il 20% dei pfas presenti nel sangue sia poi ritrovato anche nel liquido seminale e in particolare negli spermatozoi, rappresentando pertanto un ulteriore fattore di rischio per la fertilità maschile, in aggiunta a quanto già dimostrato da Foresta nelle sue precedenti ricerche. Questi risultati sono poi stati confermati pochi mesi dopo da una ricerca internazionale che ha confermato come a una maggiore concentrazione di inquinanti nel sangue corrispondesse anche una maggior quantità nel liquido seminale.
Ma cosa comporta la presenza di questa sostanze negli spermatozoi?
“I dati presentati – argomenta Foresta – hanno dimostrato il legame dei pfas sulla membrana cellulare, componente fondamentale per la funzionalità degli spermatozoi e che contiene tutti quei recettori e canali imprescindibili per la loro capacità fecondante. Analisi molecolari hanno permesso di evidenziare come i pfas riescano a intercalarsi nella membrana stessa, dilatandola e aumentandone quindi la fluidità, un parametro indicativo di una minor stabilità della stessa. Questa alterazione comportava l’alterazione di diversi parametri fortemente dipendenti dalla membrana , come la respirazione cellulare e la motilità degli spermatozoi, con conseguente riduzione della capacità fertilizzante”.
“I risultati di questo studio – continua il professore – aggiungono un ulteriore tassello al più ampio spettro di manifestazioni cliniche associate all’esposizione ai pfas, ormai ampiamente riconosciute a livello internazionale. La loro presenza sugli spermatozoi diventa però un ulteriore segnale di allarme, soprattutto qualora uno spermatozoo carico di pfas dovesse comunque arrivare a fecondare l’ovocita, o venga utilizzato per tecniche di fecondazione in vitro, rappresentando quindi una sorta di cavallo di troia per il futuro embrione”.
Il convegno, organizzato dal prof. Andrea Garolla dell’Università di Padova, ha visto la partecipazione dei massimi esperti nell’ambito della medicina della riproduzione ed è stato condotto per la prima volta con una formula mista: in parte in presenza, seguendo le opportune norme anti-covid e con capienza ridotta, e in parte in forma telematica, in modo da permettere la fruizione dell’evento a più di 150 partecipanti che erano impossibilitati a presenziare all’evento.
L’Inail di Vicenza, intanto, lo scorso 6 ottobre, ha accertato per due ex lavoratori Miteni “una menomazione dell’integrità psicofisica” derivante dalla concentrazione sierica di PFOA e PFOS nel sangue.
“Il riconoscimento da parte dell’INAIL dell’origine professionale della condizione patologica di tali lavoratori, anche per il solo anomalo iperaccumulo di sostanze in assenza di menomazioni – dichiara il Dott. Stefano Faiferri, medico legale che collabora con il patronato INCA-CGIL di Vicenza – è un primo e importante passo per la tutela delle persone, consentendoci ora di monitorare nel tempo l’evoluzione della condizione clinica e di estendere la tutela assicurativa qualora dovessero emergere ulteriori patologie correlabili”.
Il Patronato INCA CGIL ha da tempo avviato un percorso di valutazione della condizione di salute dei lavoratori ex Miteni che si sono resi volontariamente disponibili, per verificare la presenza di eventuali patologie correlabili all’esposizione prolungata a pfas o alle concentrazioni elevate nel sangue e, conseguentemente, attivare le domande di riconoscimento di malattia professionale.
“La concentrazione di PFOA e PFOS nel sangue dei lavoratori della Miteni – spiega invece Anna Bilato, coordinatrice INCA CGIL Veneto – sono le più alte finora accertate e richiamate dalla letteratura scientifica internazionale: una concentrazione di queste sostanze chimiche dannose di gran lunga più elevata anche rispetto alla stessa popolazione della “zona rossa”. Se per i cittadini si tratta di decine di nanogrammi, per i lavoratori sono centinaia quando non migliaia di nanogrammi. Perché tali valori si dimezzino sono necessari almeno tre anni, e ce ne vorranno moltissimi per farli rientrare sotto il livello di guardia, che è considerato in un range che va da 1,8 a 8 nanogrammi. Per questo è molto importante che l’altissima concentrazione di PFAS nel sangue sia stata considerata dall’INAIL come un danno in sé, portando al riconoscimento della malattia professionale. E’ un principio importante che può essere molto utile per verificare e sostenere anche il possibile riconoscimento del danno e di eventuali benefici previdenziali e potrà essere esteso anche ad altri lavoratori e ad altre situazioni aziendali analoghe”.
“Prosegue la nostra iniziativa per la tutela complessiva dei lavoratori e della popolazione – dichiarano infine i segretari della CGIL e della FILCTEM/CGIL di Vicenza Giampaolo Zanni e Giuliano Ezzelini Storti – dalla vigilanza sulla continuità della sorveglianza sanitaria per tutti i lavoratori e i cittadini coinvolti alla sollecitazione per la bonifica del sito produttivo e la completa messa in sicurezza delle falde acquifere, alla costituzione di parte civile nei procedimenti giudiziari che vedono indagati e imputati i diversi proprietari e i principali dirigenti della Miteni. Non lasceremo soli i lavoratori, le loro famiglie e la popolazione coinvolta. E ci batteremo con ancora più forza per cambiare questo modello di sviluppo, perché non è più possibile accettare un sistema produttivo che sacrifica sull’altare del profitto la salute delle persone e la salubrità dell’ambiente”.
Poi lo scorso 7 ottobre l’ARPAV, l’Agenzia Ambiente Veneto ha incontrato presso la sede di Vicenza alcuni rappresentanti del Comitato Acqua Bene Comune e del Coordinamento Acqua Libera dai PFAS. I tecnici ARPAV, per rispondere alle domande poste dal Comitato, hanno approfondito, durante l’incontro durato oltre tre ore, gli aspetti relativi al complesso iter del procedimento di bonifica relativo al sito ex Miteni dal 2013 ad oggi, illustrando le diverse fasi, dalla scoperta e denuncia dell’inquinamento alla caratterizzazione del sito, alla messa in sicurezza operativa, all’analisi di rischio per arrivare alle attuali proposte del progetto di bonifica.
“Per la nostra Agenzia – afferma il direttore generale Luca Marchesi – è fondamentale il confronto con la cittadinanza attiva sui temi ambientali. E’ un percorso che ARPAV ha portato avanti anche durante il lockdown con le giornate della trasparenza trasferite online e numerosi altri webinar su temi molto sentiti come il 5G oppure l’inquinamento dell’aria”.
Sempre relativamente al sito ex Miteni, è stato presentato lo stato di avanzamento del “decommissioning” e cioè della dismissione e dello svuotamento e smantellamento in sicurezza degli impianti presenti nell’area. Successivamente è stato sviluppato il tema delle sostanze perfluoroalchiliche e della complessa normativa che le regolamenta, con le incertezze legate alla mancata definizione di limiti nazionali, presentando il monitoraggio regionale effettuato da ARPAV sui PFAS nelle varie matrici ambientali.
Infine è stato presentato il modello matematico messo a punto da ARPAV applicato alle acque sotterranee e superficiali per simulare l’evoluzione spaziale e temporale della diffusione della contaminazione da PFAS.
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