«Ogni sentenza va rispettata, applicata e poi eventualmente commentata. Le regole però non possono cambiare a seconda del vento che tira, tanto meno quando è in gioco la volontà democratica dei cittadini». Parole come pietre quelle del politologo Paolo Feltrin, direttore dell’Osservatorio elettorale del Consiglio del Veneto, che non nasconde lo sconcerto a fronte della scia di contenziosi, svarioni e ricorsi che accompagna il voto regionale. Errori clamorosi dei tribunali nel conteggio delle preferenze a Padova e a Venezia, sviste rilevanti anche a Treviso e Verona.
E poi la decisione della Corte d’Appello che a sorpresa ha riammesso in aula il M5S sebbene la sua lista non abbia raggiunto la soglia minima del 3% prevista dalla legge regionale. Che é successo?«Distinguiamo i versanti. Gli errori materiali, peraltro vistosi, sono parzialmente attribuibili al fattore Covid, che ha indotto una certa frettolosità, e alla stanchezza di quanti avevano trascorso la notte nei seggi a scrutinare i risultati referendari. Ciò detto, siamo ancora ai verbali redatti a mano mentre ai presidenti di seggio, volontari, è riservato un manuale composto da 127 pagine… Allora, dopo 75 anni di votazioni, è tempo che l’apparato elettorale del Viminale compia la revisione e il reengineering utili a fare finalmente ingresso nell’età digitale». Più urticante la scelta dei giudici che, accogliendo la memoria dei 5 Stelle, hanno privilegiato il voto al candidato presidente (3,3%) rispetto a quello di lista (2,7%).
La candidata zaiana Roberta Vianello, esclusa a beneficio della grillina Erika Baldin, ha già impugnato la decisione al Tar chiedendo la sospensiva nella proclamazione degli eletti.«In effetti, non capisco. In materia di percentuali minime le normative delle regioni italiani sono pressoché identiche – 3% per la singola lista, 5% in caso di coalizione – perché attingono tutte alla legge nazionale del 1995. È evidente allora che se il legislatore avesse inteso trasferire i voti del candidato presidente alla lista, avrebbe previsto un’unica soglia. Ma c’è di più».
A cosa allude?«Mi riferisco ai precedenti della stessa Corte d’Appello di Venezia. In passato, chiamata a valutare istanze analoghe, le ha respinti per due volte: nel 1995 il ricorrente era Giorgio Panto del Progetto NordEst, nel 2010 lo stesso M5S, entrambi esclusi.
Ora invece il collegio ha cambiato opinione, citando a riguardo una sentenza della Corte Costituzionale del 2015 riguardante una pendenza al Tar lombardo; ma in quell’occasione proprio la Consulta definì legittimo il premio di maggioranza e dichiarò invece infondata la contestazione delle due soglie distinte. Mi sfugge il nesso logico».
Morale della favola?«Ben venga il pronunciamento del Tar del Veneto, anzi, mi auguro vi sia anche un ricorso costituzionale valido per l’intero Paese. Si pronuncino magistrati e giuristi, non vorrei che nel 2025 ci attendesse un’ulteriore sorpresa».
Oggi, nella suggestiva cornice della Sala Stucchi di Palazzo Trissino a Vicenza, affollata da ascoltatori attenti, il professor Emilio Franzina, già professore ordinario di...