Il Ssn (per ora) regge. Il Fatto: solo il 6% di terapie intensive occupate. 25% in più di posti in terapia intensiva rispetto febbraio

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Tabella posti terapia intensiva
Tabella posti terapia intensiva

I contagi salgono e salgono molto, questo è innegabile, al momento però la curva dei ricoveri ospedalieri e, in particolare, di quelli in terapia intensiva non è paragonabile con quanto successe tra marzo ed aprile. La causa o le cause non sono del tutto chiare, ma il dato è sotto gli occhi di tutti: all’inizio di aprile, secondo i dati giornalieri comunicati dal ministero della Salute, c’erano quasi 30mila ricoverati con sintomi Covid e ben oltre 4.000 persone in terapia intensiva; ieri pomeriggio i ricoverati con sintomi erano 4.336 e i pazienti in condizioni critiche “solo” 390.

Questo non vuol dire che si possa far finta di nulla, ma che attualmente il Sistema sanitario nazionale non è sotto pressione: la ragione alla base del lockdown di questa primavera fu di abbassare la curva dei contagi in modo idraulico, per così dire, per permettere al Ssn di prepararsi alla “convivenza col virus” senza dover scegliere chi intubare e chi no, come accaduto troppe volte all’inizio dell’epidemia. Nonostante i molti ritardi che tutti hanno potuto constatare in queste settimane – anche a causa di un paio di decenni di tagli alla sanità, specie su strutture e personale – la situazione per ora è sotto controllo: come vedete nella tabella qui accanto (in copertina, ndr), che abbiamo tratto da dati della struttura commissariale, i posti di terapia intensiva del Servizio sanitario nazionale disponibili alle 21 di giovedì 8 ottobre erano 6.458, cioè il 25% in più dei 5.179 di fine febbraio 2020 (sono appena partiti, in ritardo, i bandi per aumentarli ancora di altri tremila circa).

Al momento i pazienti Covid in quei letti sono 390, cioè il 6% del totale: se aumentassero al ritmo medio di 30 persone al giorno fino a fine gennaio, il 1° febbraio avremmo in terapia intensiva 3.770 pazienti, meno del picco raggiunto in un solo mese ad aprile (e avendo in quel momento a disposizione oltre 9mila letti). Nota bene: il ritmo di aumento giornaliero dei letti “Covid” nelle terapie intensive, un fenomeno che esiste ed è iniziato a fine luglio, negli ultimi 30 giorni è di 7,1 pazienti in più al giorno, nell’ultima settimana (finora la peggiore) di 12,4 pazienti al giorno, non certo trenta.

Se guardiamo alla situazione nelle singole regioni, vanno invece segnalati alcuni casi di rapporto pazienti/letti abnormi rispetto alla media nazionale del 6%: guida la classifica la Campania, che ieri faceva registrare 63 malati in terapia intensiva (lo stesso dato di venerdì), cioè il 14,7% dei 427 posti disponibili; segue assai vicina la Sardegna col 14,3% dei letti occupati (25 su 175), poi la Liguria (12,4%, 26 su 209 posti) e l’Umbria (11,4%, 8 su 70). Va segnalato il caso del Veneto, che non solo continua a fare più tamponi degli altri in percentuale alla popolazione, ma è l’unica regione ad aver mantenuto tutti i posti di terapia intensiva creati durante la prima ondata di contagi: 825 letti ovvero 331 in più di quanti ne aveva a febbraio 2020.

Questi numeri, giova ripeterlo, non sono la prova di nulla, servono solo a inquadrare la fase in cui ci troviamo: i contagi sono moltissimi, ma le terapie intensive per ora reggono senza particolari problemi (anche i numeri della mortalità non sono neanche lontani parenti di quelli della scorsa primavera). Più nebulosa, ma comunque abbastanza tranquilla, la situazione dei posti letto Covid ordinari: il problema, in quel caso, è se le Regioni – specie quelle che hanno passato indenni la prima ondata – si sono mosse individuando strutture apposite, in modo da evitare il blocco delle normali attività degli ospedali, che potrebbe costarci molte vite nei mesi e negli anni a venire.

Il Lazio, ad esempio, ha 884 ricoverati con sintomi nei suoi ospedali (per capirci, la Lombardia ne ha 408) e ha sostanzialmente esaurito i posti Covid che aveva previsto a regime (850) in estate: a fine settembre la Regione ha quindi deciso di aumentare i posti del 30% (1.124). Insomma, nessun problema per ora, ma resta l’incognita sull’evoluzione dei contagi e, non secondario, se al numero dei posti letto assegnato alla cura del coronavirus corrisponde un adeguato numero di medici e infermieri (specie se ripartiranno i contagi anche in ospedale).