Nei meccanismi dei post di Facebook, Lucivero per Agorà: Un vino val bene un articolo di giornale

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Copertura e interazione dei post
Copertura e interazione dei post

E, dunque, è capitato che ieri nella pagina Facebook di Agorà. La filosofia in piazza abbiamo pubblicato prima un post con un articolo sulla politica e qualche minuto dopo un post del tutto occasionale con la foto di un vino, nella fattispecie era Agorà rosé 2019 di Terrecarsiche1939, solo perché aveva lo stesso nome della nostra rubrica, del resto noi ci occupiamo di filosofia e scienze umane, non di vini, sebbene ci piaccia bere bene.

Agorà rosè, IGT 2019 Terrecarsiche1939
Agorà rosè, IGT 2019 Terrecarsiche1939

Il fatto è che dopo una decina di ore dalla pubblicazione, senza troppa sorpresa in fondo, abbiamo constatato che su Facebook il post del vino aveva raggiunto una copertura di 797 utenti a fronte di 38 interazioni, mentre quello dell’articolo solo una copertura 87 utenti con 15 interazioni e così non abbiamo potuto evitare di riflettere sul significato di questi numeri, su queste “metriche”, che, come tutte le statistiche, hanno lo stesso appeal che i bikini hanno sugli uomini, giacché fanno vedere molto, ma non tutto.

Solo per chiarire meglio la questione al lettore, ma anche a noi stessi, che pretendiamo di fare filosofia e divulgare contenuti culturali mediante i social media, chiariamo che la “copertura” fa riferimento al numero di persone o utenti iscritti a quel social che hanno visto contenuti della nostra pagina, nel senso che gli è apparso nello scorrimento della bacheca, mentre con “interazione” si definisce il numero di volte che gli utenti hanno interagito con i nostri post, mettendo “Mi piace” o qualsiasi altra reazione, commentando, condividendo, mettendo in evidenza il fatto che il post non sia solo stato percepito, ma anche “appercepito”, diremmo noi con un’espressione un po’ filosofica che rimanda al filosofo e matematico Leibniz. Se, infatti, la copertura indica che il post ti è sicuramente passato sotto gli occhi, ma non è detto che ne abbia avuta una percezione chiara alla coscienza, salvo poi riemergere eventualmente sotto forma di subcezione o percezione subliminare, a causa di un collegamento che il cervello opererà in un secondo momento, l’interazione indica che la percezione è diventata cosciente, cioè una appercezione, e, quindi, l’utente ha attivato il cervello per indicare alla manina sul mouse di soddisfare l’ego del curatore della pagina con un gettone di ricompensa.

Ora, stando ai dati, essi dicono, inconfutabilmente, che la foto ha funzionato, mentre l’articolo meno e, perché abbia un senso il comportamento razionale dettato dalle indagini di mercato, noi dovremmo ora rinunciare a postare articoli, soprattutto se sono complessi, fanno uso di un deplorevole periodare ipotattico fatto di frasi subordinate di primo, secondo e terzo grado, che scoraggiano la lettura, e procedere, invece, per immagini, postando foto ben ponderate per accrescere il nostro successo in ambito mediatico. Il punto, tuttavia, se così stanno le cose, è che alla lettura bisognerebbe quantomeno arrivarci, nel senso che il social di riferimento dovrebbe amplificare e moltiplicare nello stesso modo la diffusione del post della foto e del post dell’articolo, ma ciò non avviene e, di conseguenza, anche le interazioni sono proporzionate alla copertura.

Ovviamente, noi possiamo solo intuire i motivi di una simile scelta da parte degli algoritmi dei social e così siamo andati a scomodare un autore che nel 1967 ci aveva lasciato un interessante documento di questa deriva che, a distanza di 50 anni circa, avrebbe preso la nostra società, spingendoci a parlare sempre meno e ad essere sempre più iconici, traghettandoci da Facebook, dove ancora ha un senso scrivere due frasi, verso Instagram, in cui la sintesi è la chiave del successo, e poi verso Tik Tok, il tripudio dell’immagine e del video disimpegnato. Quell’autore era Guy Debord, il quale con La società dello spettacolo[1] ha dato poi al sociologo Jean Baudrillard la possibilità di riflettere meglio in Simulacri e impostura[2] sulla vacuità dell’immagine e su ciò che si cela dietro di essa, cioè, come nel nostro caso in fondo, un interesse legato ad una spinta acquisitiva, sul valore di scambio, se non sul narcisismo fine a sé stesso.

Ecco, anche noi pensiamo, insieme a Debord e Baudrillard, che dietro questa spettacolarizzazione mediante l’immagine si celi la debolezza del progetto filosofico occidentale, ma non è nostra intenzione abbandonare l’intento di continuare a impegnarci in faticose argomentazioni filosofiche, foss’anche per il piacere di pochi lettori appassionati, ma se poi la foto di Agorà rosé frizzante sarà servita a far pubblicità al vino, a noi non dispiacerebbe stappare in Redazione con un paio di bottiglie, in tal caso l’indirizzo è reperibile sul sito del giornale.

Grazie, con i nostri migliori auguri di buon 2021.

[1] G. Debord, Commentari sulla società dello spettacolo e La società dello spettacolo, Sugarco, Milano 1996.

[2] J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Pgreco, Roma 2008.


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a cura di Michele Lucivero

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