Veneto, Covid non è alibi: Pil non cresce più. Impietoso confronto con Emilia

Copiello sul Corriere: "nell'industria solo Vicenza supera il valore aggiunto di 10 mila euro per abitante, Venezia è solo turismo e commercio"

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Pochi giorni fa l’Istat ha pubblicato i dati più importanti sulla ricchezza prodotta nel 2018 e 2019. Ultimi anni felici, prima del bisesto e funesto 2020. Ma la memoria inganna. Il Pil, la ricchezza totale, cresceva intorno allo zero: 0,9 nel 2018, 0,3 nel 2019, in Italia. 0,8 e 0,4 in Veneto. Meglio l’Emilia Romagna: 1,5 e 0,7. Insomma: nel biennio il Veneto fa 1,2 come l’Italia, l’Emilia Romagna il 2,2, quasi il doppio. E la forbice s’allarga: sono esattamente 3.000 euro di differenza per abitante (36.700 contro 33.700), sotto o sopra il Po.

Poiché le condizioni generali, quelle che son sulla bocca e sulla penna di tutti (fisco, burocrazia, credito, infrastrutture etc.) sono largamente uguali, almeno nel Nord d’Italia, si tratta di capire cos’abbia l’Emilia Romagna di meglio e diverso dal Veneto (e dall’Italia). I numeri dell’Istat dicono poco con riferimento ad agricoltura, costruzioni, commercio e servizi varii. Ad esempio, in agricoltura il Veneto mette in campo Verona e Treviso, che fan pari con Ferrara, Ravenna e Forlì.

Le differenze che fanno la differenza stanno nell’industria, innanzitutto. Il Veneto ha una sola provincia con un valore aggiunto per abitante superiore ai 10.000 Euro: Vicenza. In Emilia sono tre: Modena, Reggio e Parma. Le stesse tre provincie sono poi leader nei servizi finanziari e professionali, con valori tra gli 8 e i 9.000 euro per abitante. Che scendono tra i 7 e gli 8.000 nelle tre migliori provincie del Veneto: Padova, Treviso e Verona. In più, c’è Bologna: in doppia cifra (10,7), come solo Milano, Firenze e Roma. Bologna è «capitale», in tutti i sensi. Da noi Venezia è solo turismo e commercio. Si noti: i servizi, lo dice la parola, sono a servizio. Anche quelli dal ricco blasone finanziario e professionale. Dipendono ed esprimono il contesto. Non a caso in Emilia sono forti dove e perché c’è un’industria forte: Modena, Reggio e Parma. Da noi sono meno forti perché meno diretto è il legame con l’industria più forte ed infatti Vicenza manca. Con tutto ciò, l’Istat non ha comunque detto nulla di nuovo.

E’ ormai conclamato che il Veneto ha esaurito, e da tempo, ogni spinta propulsiva. Non c’è più nulla ormai che mostri un Veneto diverso dall’Italia, ivi compreso che invecchia e lascia andare i più giovani. E’ una cosa seria, maledettamente seria. Da qualunque parte ci si trovi o metta, ogni processo di sviluppo deve contare sul fatto che anche il Veneto è capace di tornare a crescere. Per questo, a me pare, due percorsi sono obbligati. Il primo è indicato dal dibattito europeo. Tutti diciamo che i soldi dell’Europa sono altri debiti se non si cambia strada. O c’è next generation, oppure sarà recovery. Questo vale per tutti e dappertutto. Anzi: dove si va peggio, a maggior ragione bisogna lasciar la strada vecchia per la nuova. Il secondo riguarda le relazioni: ci siamo fatti del male, molto male, con tutte le liti, contrapposizioni e scissioni di cui siamo stati capaci in Veneto. E’ rimasto deserto, il campo di battaglia. Qui non servono prediche ed appelli unitari, già sentiti prima di ogni battaglia. Qui servono solo mutamenti. Il Veneto, se mai lo è stato, non è più autosufficiente. Se non stabilisce relazioni, finisce che diventa colonia: nel credito la strada è già imboccata, in molte imprese i fondi la fan da padrone. Bisogna cambiare segno nelle relazioni: costruire relazioni per far crescere le imprese, per far crescere i Comuni e le istituzioni. Per tornare a crescere.

Luigi Copiello sul Corriere del Veneto