In questi giorni si parla molto dell'11 settembre, quello del 2001, quello dell'abbattimento delle torri gemelle a New York. Ma io ricordo un altro 11 settembre, quello del 1973, quello del colpo di stato in Cile, della morte di Salvador Allende, il presidente socialista eletto dal popolo. Quello che vide l'inizio di una dittatura sanguinaria comandata dal generale Augusto Pinochet.
Quello che vide la pianificazione e l'inizio di massacri che causarono la morte di decine di migliaia di persone e la miseria diffusa nel popolo. Quell'11 settembre, infine, che vide il potere USA protagonista e fautore di tutto questo. Terrorismo? Molto di più e molto peggio … è imperialismo. La “dottrina” per la quale i paesi non possono né devono essere governati da chi non è omologato al potere centrale statunitense che si arroga il diritto di vita e di morte su interi popoli. Che può bombardare indiscriminatamente città e paesi interi incurante di chi subisce quella devastazione che esso provoca.
Per questo, oggi, mi risulta difficile se non impossibile accodarmi al grande circo mediatico e non solo che ricorda soltanto l'attacco terroristico alle torri gemelle di New York. Certo, è doveroso piangere i morti innocenti e ignari che ci sono stati vent'anni fa, le immagini forti e spaventose dei crolli, del dolore che quell'atto terroristico ha provocato e continua a provocare … ma è giusto e doveroso ricordare quello che è successo ventotto anni prima nel Cile di Allende e la cancellazione della democrazia da fascisti in nome e per conto di un imperialismo targato USA. Un'ideologia per nulla democratica che abbiamo visto e vediamo continuare negli attacchi militari e le guerre scatenate in medio oriente, in Irak, in Libia, in Siria, in Afghanistan, in Ucraina e nelle sanzioni (che non sono altro che brutali assedi) con le quali gli USA, incuranti dei voti a loro contrari in sede ONU, tentano di piegare Cuba e il Venezuela.
Si abbia memoria che l'11 settembre è anche questo: il trionfo della brutalità dell'imperialismo statunitense.
L'ultimo messaggio di Salvador Allende al popolo cileno
Questa è l'ultima occasione che avrò per rivolgermi a voi. L'aviazione ha bombardato i ripetitori di Radio Portales e di Radio Corporación. Le mie parole non hanno amarezza ma disillusione e saranno il castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento fatto: i soldati del Cile, i comandanti in capo titolari, l'ammiraglio Merino che si è autodesignato, anche il signor Mendoza, generale abietto, che solo ieri aveva manifestato la sua fedeltà e la sua lealtà al governo e che si è autoproclamato direttore generale dei Carabineros. Di fronte a questi fatti, io posso solo dire ai lavoratori IO NON MI DIMETTO! Trovandomi in un momento cruciale della storia, pagherà con la mia vita la lealtà del popolo. E vi dico che ho la certezza che il seme che depositammo nella coscienza di migliaia di cileni, non potrà essere distrutto definitivamente. Loro hanno la forza, potranno abbatterci ma i processi sociali non si arrestano né con il crimine, né con la forza. La storia è nostra e la fanno i popoli. Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete da sempre dimostrato, per la fiducia che avete riposto in un uomo che è stato solamente interprete di grandi aneliti di giustizia, che si era impegnato a rispettare la costituzione e la legge e così ha fatto. In questo momento definitivo, l'ultimo nel quale potrò rivolgermi a voi, desidero che facciate tesoro della lezione: il capitale estero, l'imperialismo assieme alla reazione, hanno creato il clima affinché le Forze Armate rompessero la loro tradizione, quella insegnata da Schneider e riaffermata dal comandante Araya che sono vittime della stessa classe sociale che oggi starà nelle proprie case, in attesa che mani altrui le faccia riconquistare il potere per poter continuare a difendere il proprio orticello e i propri privilegi. Mi rivolgo soprattutto alla donna umile della nostra terra, alla contadina che ha creduto in noi, all'operaia che ha lavorato di più, alla madre che ha capita la nostra preoccupazione per i bambini. Mi rivolgo ai funzionari della patria, ai funzionari patrioti, a coloro che negli ultimi giorni hanno lavorato contro la sedizione promossa dalle corporazioni professionali, corporazioni di classe che difendono quei vantaggi che una società capitalista concede a pochi. Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che hanno cantato, che ci hanno dato in dono la loro allegria e il loro spirito di lotta. Mi rivolgo all'uomo cileno, all'operaio, al contadino, all'intellettuale, a coloro che saranno perseguitati … perché nel nostro paese il fascismo c'è già da tempo, negli attentati terroristici, facendo saltare ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo oleodotti e gasdotti, nel silenzio di colori che avevano l'obbligo di intervenire, ma che erano complici. La storia li giudicherà. Sicuramente radio Magallanes verrà zittita e la mia voce metallica e tranquilla non giungerà a voi. Non importa. Voi continuerete a sentirmi. Vi sarò sempre vicino. Il ricordo che lascio, sarà, perlomeno, quello di un uomo degno che fu leale alla lealtà dei lavoratori. Il popolo deve difendersi, ma non sacrificarsi. Il popolo non deve farsi sterminare né massacrare, ma non può nemmeno lasciarsi umiliare. Lavoratori della mia Patria, io ho fede nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento buio e amaro nel quale il tradimento pretende di imporsi. Andate avanti e sappiate che, più presto che tardi, si apriranno di nuovo i grandi viali lungo i quali camminerà l'uomo libero verso la costruzione di una società migliore. Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori! Queste sono le mie ultime parole e ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano. Ho la certezza che, quanto meno, sarà una lezione morale che punirà il crimine, la vigliaccheria e il tradimento.
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