Nel pomeriggio di una domenica di trentotto anni fa, il 24 giugno 1984, al largo di Portofino morì, a soli 55 anni, il notissimo politico rodigino Antonio Bisaglia, capo dei democristiani dorotei, parlamentare dal 1963 al 1979 e, fra l’altro, ministro dell’Agricoltura e delle Partecipazioni Statali. Le cause della tragedia non sono mai state chiarite del tutto e sono rimasti molti dubbi sull’effettivo svolgimento degli eventi.
Il senatore rodigino era a bordo del veliero “Rosalù” insieme alla moglie, che ne era proprietaria, allo skipper, ad un marinaio (in quel momento al timone) e ad un regista, amico della coppia; ma neppure si sa di preciso se ci fossero state altre persone a bordo. Il mare era calmo piatto e intorno non c’era nessuno. Improvvisamente Antonio Bisaglia (per tutti “Toni”) precipitò in mare e, alle grida della moglie (che ha, poi, dichiarato di non aver visto nulla perché stava prendendo il sole con gli occhiali antirughe), lo skipper, che era sottocoperta insieme al regista, si tuffò per soccorrerlo.
Ma come, e perché, finì in mare Toni Bisaglia? Nessuno ha mai chiarito la dinamica della caduta e la versione ufficiale è stata che la causa dell’incidente era attribuibile ad un’onda anomala provocata, forse, da un natante di passaggio, che avrebbe fatto oscillare il veliero. Tuttavia, questa ipotesi era poco convincente perché il mare era piatto e perché non era stata riscontrata nei dintorni la presenza di natanti capaci di produrre onde così alte da far oscillare significativamente un’imbarcazione come quella, lunga 22 metri e pesante circa 50 tonnellate.
Per di più, non si è mai capito come, in quelle circostanze, il veliero abbia potuto perdere l’asta con la bandiera, finita anch’essa in mare, ma senza spezzarsi; fu raccolta, qualche attimo dopo la tragedia, da un gozzo di passaggio, i cui occupanti (pare, i componenti di due famiglie), dopo essersi offerti di prestare soccorso ed essersi sentiti dire che non ce ne era bisogno, seguirono, comunque, il Rosalù a Santa Margherita Ligure, portando l’asta della bandiera alla Capitaneria di Porto, dove fu loro detto che era meglio consegnarla ai marinai del veliero!
Tutto pare essere stato colpevolmente ignorato dagli inquirenti, che non svolsero alcuna specifica indagine, tanto meno una perizia sul veliero, accreditando così – ma senza riscontri – la versione ufficiale dell’onda anomala. E, anche se il corpo del senatore presentava ferite, non fu disposta neanche l’autopsia. Nel novembre successivo, il caso fu archiviato sulla base del solo certificato medico legale, secondo cui la morte sarebbe avvenuta per “arresto cardiaco”: come se fossero possibili decessi non caratterizzati da un simile evento!
E così si affermò che Toni, perso l’equilibrio a causa di un’onda anomala, era caduto in mare, travolgendo il candeliere centrale dell’imbarcazione e trascinando con sé l’asta della bandiera, alla quale, forse, si era aggrappato.
Neppure la causa del decesso fu accertata e quella dell’annegamento è rimasta solo un’ipotesi, in assenza di autopsia: davvero una trascuratezza imperdonabile, tanto più che il corpo del senatore fu, poi, rinchiuso nella bara in modo frettoloso, senza che nessuno dei familiari (ad eccezione – pare – della moglie) potesse vederlo.
Quello che, invece, non credeva alla versione ufficiale sulla morte di Toni Bisaglia era il fratello Mario, sacerdote rodigino che, insieme al cardinale Ugo Poletti (Cardinale Vicario del Papa su Roma), pochi anni prima, ne aveva celebrato il matrimonio. Don Mario non si dava pace ed aveva manifestato, sempre e a tutti, le proprie perplessità: era convinto che la morte del fratello non fosse riconducibile ad una disgrazia e nascondesse non poche ombre. Secondo lui, i fatti erano andati diversamente da come erano stati raccontati.
Otto anni dopo, nel 1992, don Mario aveva 75 anni e si era ritirato a vivere nella Casa del Clero di Rovigo, accudito da un’anziana perpetua di Rovigo (A.C.). Nel gennaio di quell’anno, in confessionale, una persona (mai identificata) gli raccontò che Toni non era morto annegato. A sua volta, sempre in confessionale, don Mario riferì queste stesse confidenze sulla morte del fratello ad un altro sacerdote: il direttore della Casa del Clero di Rovigo in cui lui stesso era ospite.
Don Mario forse anche rammentava un singolare presentimento di morte dichiarato dal fratello Toni ad un giovane iscritto al partito della Democrazia Cristiana: passeggiando con lui per le strade di Rovigo, il senatore gli avrebbe detto che, dopo pochi giorni, in quei luoghi sarebbe stata posizionata una lapide in sua memoria. Ma quale motivo aveva Toni, da poco felicemente sposato e nel pieno di una brillante e consolidata carriera politica, per preconizzare una sua così prematura morte?
Questo era il chiodo fisso di don Mario, ossessionato dalla tragedia che aveva colpito l’amato fratello. Le notizie da lui ricevute in confessionale nel gennaio 1992 dovevano averlo non poco scosso, tanto da indurlo a richiedere a un settimanale locale (“Veneto Magazine”) di essere intervistato sulla vicenda. L’intervista suscitò, poi, non poche polemiche e determinò anche uno scontro con la vedova del fratello.
Per di più, don Bisaglia, in quel periodo, fu protagonista di un episodio rimasto anch’esso oscuro nella sua effettiva eziologia: fu rinvenuto esanime nella propria stanza, probabilmente a causa di un’eccessiva ingestione di farmaci. Ci fu chi parlò di tentato suicidio, mentre altri affermarono, anche sulla scorta di quanto, poi, loro spiegato dal sacerdote stesso, che si era trattato di un incidente.
Ma, la sera del 13 agosto 1992 don Mario ricevette una telefonata, il cui autore e il cui contenuto sono sempre rimasti ignoti. Ma egli subito avvertì che, la mattina successiva, si sarebbe allontanato da Rovigo e che non sarebbe stato presente per il pranzo (il che farebbe pensare che intendesse rientrare in serata). Alle suore della Casa del Clero aveva precisato che avrebbe dovuto prendere il treno.
Quella della partenza in treno fu, forse, una sua decisione dell’ultimo momento, non programmata, perché fu accertato che il 13 (o il 14) don Bisaglia avrebbe dovuto prelevare dalla casa della sua perpetua alcuni capi di vestiario che lei gli aveva preparato: a ferragosto, infatti, il prete avrebbe dovuto recarsi in un paese vicino per officiare la messa. Non avendolo visto, la perpetua che nulla sapeva di una sua intenzione di recarsi a Calalzo, si mise in allarme e, un paio di giorni dopo, pare avesse contattato qualche suo parente.
Comunque, verso le 6 del 14 agosto, don Mario si allontanò dalla Casa del Clero (la sua bicicletta sarà ritrovata la sera del 19 agosto nei pressi del deposito bagagli della stazione ferroviaria di Rovigo) e acquistò un biglietto (di sola andata) per Calalzo di Cadore, ultima stazione del Bellunese, senza dire a nessuno dove fosse diretto e con chi dovesse incontrarsi. E perché proprio a Calalzo, luogo con il quale il sacerdote non aveva mai avuto alcun apparente collegamento?
Il suo cadavere sarà ritrovato nelle acque del lago di Centro Cadore verso le ore 20 del 17 agosto. L’orologio da lui portato al polso segnava le ore 18.58 e il datario si era fermato al 16.
Le indagini successive sulla seconda morte in acqua di uno dei due fratelli Bisaglia, le racconteremo nel prossimo capitolo dedicato a questa doppia, misteriosa vicenda.