Oggi parlare e scrivere di pasta è prevalentemente compito di maestri di cucina o giornalisti di gastronomia. Ma la letteratura, dai tempi dell’Antica Roma, ai giorni nostri, sembra aver riservato alla bontà del prodotto nostrano costanti contrassegni storico – letterari.
La lasagna da Orazio a Cecco Angiolieri
A cominciare dal 35 a. C., con la cena di Orazio, che nella satire VI del I libro esprime felicità nel ritornare a casa “la sera per mangiare una scodella di ceci, porri e lagane (le prime lasagne)”. Secondo Apicio, nel suo libro de Coquinaria, le lagane sono “mangiar da ricchi”. Sono infatti composte da strati di svariate polpe di carne e pesce, sminuzzate, bollite ed insaporite coperte da strati di sfoglia “spianate bene dal mattarello e stese sopra come una coperta”. La lasagna audacemente conquista una posizione di “interesse storico” con la prima notizia del suo abbinamento con il formaggio da parte di Fra Salimbene da Parma (1221 – 1286),che nella sua Cronica,cita un frate corpulento, tal Giovanni da Ravenna, annotando “non vidi mai nessuno che come lui si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio”.
Jacopone da Todi (1230 -1306) invece sentenzia “che granel di pepe vince per virtu’ la lasagna”. A rimarcare il privilegio del mangiare le lasagne c’è lo storico ammonimento dell’poeta e scrittore guelfo di Siena, Cecco Angiolieri:” chi dell’altrui farina fa’ lasagne non ha ne mura ne fosso”.
Gli “ homini” di buona pasta tra ravioli e maccaroni con il formaggio di Boccaccio e Giordano Bruno
Nel XIV secolo si diffonde il modo di dire”essere di buona pasta” per indicare una persona buona ed amabile, l’esatto opposto delle persone di “pasta grossa”, rozze e meschine. Boccaccio riferisce: “frate Puccio…uomo idiota era di pasta grossa”. Lo scrittore fiorentino nel suo Decamerone, raccontando le delizie del paese del Bengodi, “dove chi piu’ dorme piu’ guadagna”, descrive “una montagna di parmigiano grattugiato dal quale rotolano giu’ montagne di ravioli e maccaroni cotti in brodo di cappone”. Nello spaccio della Bestia trionfante, opera filosofica di Giordano Bruno si celebra un modo di dire, propriamente napoletano: “e’ cascato il maccarone dentro il formaggio”.
L’albero genealogico dei maccaroni e l’origine “lirica” del pastificio moderno
Nel 1654, viene stampato a Modena, il poemetto “Della discendenza e nobiltà de’ maccaroni”, scritto dal conte Francesco de Lemene. Le rime poetiche rappresentano il primo tentativo di classificazione razionale dei formati di pasta.”Farina sia nata pasta, madre prolifica che in stato vedovile ebbe un figlio Gnocco; ma che dai suoi tre mariti. mattarello, gramola e torchio ella aveva gia’ generato altri figli. Da cannella sono nati la lasagna e il raviolo…ma è dal torchio che Pasta doveva generare il fiore della sua stirpe, il maccarone”. Si citano la gramola e il torchio anticipando l’esistenza delle due macchine fondamentali che porteranno alla nascita dei pastifici a produzione industriale.
Gnocchi Barocchi e l’inventore della “felicita” dei napoletani.
Lorenzo Lippi nel suo poema “ il Malmantile riconquistato” riporta il nuovo modo di dire”ognun puo’ fare della sua pasta gnocchi”, significando che delle proprie cose, si puo’ disporre come si crede e fare cio’ che si vuole, per lo piu’ a sproposito. Vittorelli nel suo poemetto “i maccheroni”, attribuisce a Pulcinella “l’invenzione di tal cibo che rallegra gli animi”.
Goethe nel suo “viaggio in italia”,a Napoli, riportando l’attività dei maccaronari, definisce questa tipologia di pasta “delicata, fatta di farina fina, bollita e trafilata in certe forme”. Matilde Serao nel suo “Leggende napoletane . Libro di sogno ed immaginazione” attribuisce al segreto del Mago Chico, l’invenzione del cibo made in Napoli.
La ” macaroni politik ” di Cavour e la cena del Gattopardo fino al contradditorio manifesto futurista sulla cucina.
In una lettera dai contenuti politici di Cavour inviata a Costantino Nigra il conte scrive, al termine della Campagna garibaldina, che i “maccheroni non sono ancora cotti” alludendo che restava ancora da conquistare il Regno di Napoli. In una pagina del Gattopardo si narra: “l’aspetto di quei monumentali pasticci era ben degno di evocare fremiti di ammirazione. L’oro imbrunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e cannella che ne emanava, non erano che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava all’interno quando il coltello squarciava la crosta”.Un vero e proprio inno del pasticcio di lasagne.Nel 1930, nel suo manifesto di cucina futurista, Marinetti mette al bando la pasta, rea di appesantire i corpi degli italiani. La pubblica diatriba pro e contro la pastasciutta capitolo’. quando Marinetti venne scoperto in un noto ristorante, il Biffi a Milano, mentre mangiava con l’avidità di una trebbiatrice, un enorme quantità di spaghetti.
Pasta, poesia e tempi moderni
Giovanni Pascoli, nei “Canti di Castelvecchio soavemente decantava: “E’ l’ora, in cucina, che troppi due sono, ed uno solo non basta: si cuoce, tra murmuri e scoppi, la bionda matassa di pasta. Piccole cose e gioie semplici, come le mani sapienti e il calore delle cose antiche che rivivono nelle “Ultime cose “ di Umberto Saba: ”C’era nel mezzo di una tavola dove versava antica donna le provviste. Il mattarello vi allungava a tondo la pasta mole”.
Spaghetti, tortellini, ravioli, maccheroni costituiscono un’autentica identita’ alimentare, tutta italiana. Nella letteratura cinematografica è stata consacrato dalla famosa scena con protagonista Sordi, l’Albertone nazionale, in “un americano a Roma” che, pervaso da un incontrollabile sentimento patriottico, getta l’american food, precedentemente preparato e ripone sul tavolo un fumante piatto di spaghetti , esclamando: “ Maccarone m’hai provocato e io te distruggo, e me te magno”.