27 gennaio, il giorno della memoria: IL MALE. Chi sono? Cosa sono? Dove mi trovo? Perché la vita mi sfugge? E perché ogni perché è senza risposta?
Domande a occhi aperti, le palpebre dolenti, le braccia penzoloni che cadono verso il pavimento, le ossa puntute che, attraverso il corpo privo di carne e grasso, sfregano la coperta ruvida. Lacerano la pelle con piaghe inerti.
Ogni pensiero vola via, si infrange nei vetri rotti, si ferisce e sanguina. Viene ricacciato indietro dal gelo che invade lo stanzone. Ritorna a me e io non provo più niente.
Ma tu, amore mio, dove sei? Dove vola il tuo respiro? Cosa pensi? O, meglio, mi pensi? Lo fai ancora? Ci riesci?
Io non riesco più a riconoscere il tuo viso in mezzo a tanti ricordi così lontani. Ma so che tu ci sei. Mi tradisce la memoria, mi confonde l’essere diventato cosa senza coscienza e ragione. Cerco un pensiero, uno qualunque. Trovo soltanto un feroce, grezzo, istinto bestiale.
Ma, allora … penso … a cosa serve il mio essere ancora? Il mio vivere nonostante l’inedia che mi uccide e la fame che divora il mio corpo? Vorrei, sai, abbracciarti, odorarti, baciarti per lenire questo dolore che mi tiene in vita. Ma tu, tu dove sei? Per chi potrà ancora battere il mio cuore? E come farà il sangue a non gelare e diventare ghiaccio?
Eppure non ho freddo. Non provo niente. E … quanto ti amo e da quanto tempo e per quanti istanti ancora?
Vorrei morire, sai, ma mi trattiene la speranza di poterti rivedere un giorno e correrti accanto e giocare a vivere quando sorgerà ancora il sole.
Chiudo gli occhi. Ricomincio a sognare il buio che invade e avvolge qualsiasi cosa, ogni ricordo, l’ombra del tuo viso che sfuma, il tuo sorriso. La mia vita che si spegne.
Voglio morire.
Una mano mi sfiora le spalle. Con tenerezza mi gira la testa.
“Venite! presto! Questo è vivo!” Sento la voce. Riconosco la parlata. È quella di un amico. Il suono delle parole è diverso da quello che stavo sognando, ma qualcuna la capisco “… ancora … vivo … sì … lui … solo … ”
Apro gli occhi. Con l’ansiosa lentezza di chi ha paura, io guardo. Vedo, sotto la stella vermiglia, occhi cerulei che mi fissano. Una lacrima che solca il volto. La riconosco.
Dio, mi chiedo, ma quanto tempo sarà passato dall’ultima che io ho pianto?
Ricordo il lurido triangolo ruggine, che campeggia su quella informe camicia di tela a strisce larghe e grigie come sbarre di una cella infame. Lo accarezzo con dolcezza.
Devo ricordare.
Fatico a respirare. Lo faccio con la fame dell’annegato, come se non esistesse un’altra possibilità dopo l’ultimo respiro.
Domani, forse, rinascerò senza futuro.
L’amore è morto da qualche parte, ha cessato di vivere, ridotto in cenere e fumo, in qualche rimasuglio di esistenza. È volato via dissolvendosi nello spazio. Per sempre. È diventato impalpabile. Lo so.
Gli innominabili hanno distrutto la mia sicurezza. Il mio credere nel futuro, nel nostro poter vivere ancora. Io non posso più crescere. Non oso sorridere. Sono vivo, sì, ma non sono.
Guardo i numeri incisi sul mio braccio.
549172
Chiudo gli occhi.
Che giorno è oggi?
Adesso ricordo.
Capisco di essere diventato immune a qualsiasi speranza.
Ormai sono indifferente al dolore di sopravvivere. Sono pronto a non provare niente. Nessun sentimento che possa risultare piacevole.
Continuo a ricordare.
Tutte le assenze sono là, in fila, una dietro l’altra. Aspettano il loro turno di vivere o morire.
Io sono condannato, colpevole di essere ancora vivo.
L’ossessione mi invade. Io odio. Tutto e tutti senza alcun rimorso. Io posso solo odiare. Un odio rabbioso, senza tregua, eterno.
Non sono più un uomo … continuo a ripetermi … Me lo hanno fatto credere, con le urla, i latrati dei cani, con la fame … con gli anni e l’angoscia … così … Sono diventato, io, il male.
Gli innominabili mi hanno trasformato. Hanno bruciato la mia anima quasi fosse una strega. L’hanno costretta a vagare nel recinto delle assenze.
Tutto sfuma, si dilata, si rinsecchisce, si trasforma in un unico ricordo definitivo, diventa aria rarefatta che affatica il respiro.
Tutto, tutto, tutto è irrimediabilmente morto.
Tutto, tranne la memoria.
(Ti vedo, ti vedo, adesso e ancora. Ti vedo sorridere e correre da me e sperare ancora di rimanere qui, con me. Dammi la mano, intrecciamo le dita e gli sguardi. Fuggiamo là dove non sarà possibile né restare e nemmeno tornare.)
Io non perdono.
Rif.
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e qui: 27 gennaio