34 anni di galera per messaggi Twitter privati sui diritti delle donne. E’ l’Arabia Saudita

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Ci sono giudici in Arabia Saudita che hanno condannato, il 9 agosto, a trentaquattro anni di reclusione una studentessa di dottorato in odontoiatria. Per quale crimine? Aver condiviso messaggi a favore dei diritti delle donne su un account Twitter rimasto particolarmente riservato.

In primo grado, nel 2021, era già stata pronunciata una pesantissima condanna a sei anni di reclusione, di cui tre sospesi, nei confronti di Salma Al-Chehab, 34 anni, madre di due bambini e che appartiene a una minoranza sciita spesso ingiustamente stigmatizzato. In appello, la giustizia saudita ha fatto questa scelta del grottesco. Per buona misura è stato persino aggiunto il divieto di lasciare il regno per un periodo di tempo simile. Questa giustizia ha ritenuto che la giovane donna, che stava proseguendo i suoi studi nel Regno Unito prima del suo arresto durante una visita in Arabia Saudita, “ha fornito assistenza a coloro che cercano di turbare l’ordine pubblico e di diffondere informazioni false e maligne”.

In termini di malizia nei confronti del regno, i giudici dietro questa grottesca sentenza hanno, infatti, battuto tutti i record. Hanno giustificato i peggiori cliché di cui le autorità saudite sono le prime a lamentarsi. Con tali funzionari, l’Arabia Saudita non ha bisogno di detrattori. Per la cronaca, la sentenza più pesante pronunciata contro i membri del commando responsabile, nel 2018, dell’assassinio e dell’atroce smembramento del dissidente saudita Jamal Khashoggi, nel consolato del regno a Istanbul, è stata di quattordici anni in meno di quella che colpisce Salma Al Chehab…

MBS tiene conto di questa decisione
Poiché non insulteremo il principe ereditario Mohammed Ben Salman (MBS), de facto padrone del regno, per ritenere che le sue mani siano legate dal principio della separazione dei poteri, è ovviamente responsabile di questa scandalosa condanna che ha mosso anche le Nazioni Unite. .A sua volta, questa sentenza non può che mettere in imbarazzo i leader occidentali che hanno partecipato alla sua recente riabilitazione dopo l’affare Khashoggi. Sono il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che lo ha incontrato a luglio a Jeddah, ed il presidente frncese Emmanuel Macron, che lo ha ricevuto poco dopo a Parigi. Anche la più gelida delle realpolitik dovrebbe porre limiti all’arbitrarietà, soprattutto quando pretende di difendere valori come l’equità e il rispetto dei diritti umani.

C’è da sperare che presto la ragione torni alle autorità saudite e che questa sentenza che le ridicolizza agli occhi del mondo intero venga presto cancellata. Il rovescio testimonierebbe una preoccupante sordità da parte di un principe la cui ascesa fu segnata tanto da un umiliazione particolarmente brutale dei suoi coetanei, all’interno di una monarchia dove il potere era stato a lungo esercitato in collegio, che da decisioni particolarmente rischiose, come la devastante e futile guerra condotta in Yemen contro la ribellione Houthi.

Prima dell’assassinio del dissidente saudita, a cui è seguita una quarantena diplomatica, Mohammed Ben Salman non aveva contato le sue energie per installare la storia di un principe riformista, determinato a strappare il regno dall’immobilità e ad anticipare la fine delle rendite petrolifere che oggi gonfia le casse saudite. La scelta strategica di una maggiore apertura del regno al mondo, in particolare attraverso il turismo, è però incompatibile con gli usi e i costumi di un satrapo illustrati dall’iniqua condanna di Salma Al-Chehab.

(Editoriale non firmato su Le Monde del 20/08/2022)
 

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