6 agosto 2018, 12 lavoratori extracomunitari morti: solo numeri?

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La notizia è spaventosa: 12 lavoratori extracomunitari, braccianti agricoli di nazionalità africana che tornavano dal lavoro nei campi stipati in un furgone, sono morti nello scontro frontale con un Tir. Le modalità sono analoghe a quelle dell’incidente di sabato scorso nel quale hanno perso la vita quattro braccianti africani. La regione è la stessa, la Puglia, dove migliaia di extracomunitari sono “impiegati” nella raccolta dei pomodori per pochi euro a fronte di 8-12 ore di fatica. Uno sfruttamento inaccettabile.

Dobbiamo renderci conto che queste tragedie non avvengono per caso ma sono frutto di prassi abituali per le quali i lavoratori sono sfruttati, minacciati, costretti a lavorare in condizioni inumane. Schiavi che devono sottostare alle regole del caporalato imperante. Sono uomini e donne invisibili che vivono in baracche fatiscenti, che vengono trasportati nei campi e dai campi in condizioni bestiali, che consumano un’esistenza che non è vita. Qualcuno che, oggi, occupa gli scranni del governo del paese ha annunciato, qualche settimana fa, che per i clandestini, per i profughi, per gli immigrati è finita la pacchia. Queste tragedie dimostrano che la “pacchia” non c’è mai stata e che le condizioni nelle quali queste persone (sì, “egregio” ministro Salvini, sono Persone uguali a noi, non “animali da soma”, “cose” senza diritti, e neppure “esseri inferiori”) sono costrette a lavorare e vivere assomigliano in maniera inquietante a quelle che subivano i deportati nei lager nazisti. Ricordiamoci che il crimine più infame dei nazisti fu quello, come scriveva Primo Levi, di rendere i deportati schiavi e di cancellare in loro anche il più flebile barlume di umanità.

Si colpiscano con durezza e severità gli sfruttatori, chi riduce in schiavitù esseri umani. Sono questi i nemici della civiltà, non certo chi subisce le loro vessazioni.

La nostra società sta cadendo in una barbarie nella quale l’odio contro chi è diverso (per etnia, religione, sesso, ideali politici, consizioni sociali) è una condizione normale. Un baratro dove trionfa la negazione della civiltà, dove i lavoratori vengono sfruttati, dove bisogna chinare la testa di fronte al padrone e al “caporale”, ritenersi inferiori e ringraziare chi ti percuote.

Bisogna prendere coscienza che, non tanto tempo fa, questo è stato e che le condizioni di odio che hanno prodotto quella negazione dell’umanità stanno tornando.

Ribelliamoci a questo stato di cose. Lottiamo per cambiare questa spaventosa prospettiva.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.