Il 6 luglio 1970 – scrive Roberto Ciambetti Presidente del Consiglio regionale del Veneto – si riuniva nella grande sala di Ca’ Corner il primo Consiglio regionale del Veneto, presieduto dal consigliere anziano il democristiano bassanese Giovanni Bottecchia. Primo presidente del Consiglio verrà eletto Vito Orcalli e primo presidente della Giunta, ad agosto, il veronese Angelo Tomelleri.
Sin dalla prima seduta è evidente il sentimento autonomista trasversale alle forze politiche, con l’eccezione dell’opposizione missina e, più smorzata e di diverso tenore, del Partito Liberale. Le cronache narrano di un Veneto percorso da forti tensioni in una terra dove non s’era arrestato, anzi, l’esodo dalle campagne, dove non s’era ancora diffusa la piccola e media industria e il terziario era ancora in via di sviluppo. Rispetto alle altre aree del Paese, il Veneto scontava ancora una certa arretratezza economica e un ritardo infrastrutturale, ciò non di meno la maggioranza dei consiglieri credeva fermamente nell’autonomia e nell’autogoverno nella convinzione di poter dare risposte adeguate alle domande emergenti dalla società veneta.
La speciale commissione Statuto composta da una ventina di consiglieri e presieduta da un giovanissimo Marino Cortese, affiancato dal professor Feliciano Benvenuti, uno dei massimi studiosi del Diritto costituzionale in Italia, presenterà al Consiglio regionale già il 3 novembre uno schema di statuto che verrà approvato il mese successivo, il 4 dicembre, con 47 voti a favore e uno solo, il missino, contrario. L’articolo 2 di quel testo recita: “L’ autogoverno del popolo veneto si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia. La Regione concorre alla valorizzazione del patrimonio culturale e linguistico delle singole comunità”. Il segnale è chiarissimo: si parla di caratteristiche specifiche della storia e delle tradizioni del popolo veneto che dichiara il proprio diritto all’autogoverno.
Il 22 ottobre del 2017 oltre 2 milioni 273 mila elettori residenti in Veneto ribadiscono questa aspirazione partecipando al Referendum indetto dalla Regione, con un risultato che non può essere ignorato, come aveva già spiegato la Corte costituzionale nel 1992 quando il Consiglio regionale approvò la richiesta di consultazione popolare per chiedere per il Veneto il riconoscimento di regione a Statuto speciale, richiesta impugnata dal governo di allora. La richiesta di autonomia è un tema che ha sempre attraversato le dieci legislature di questi cinquant’anni in cui il Veneto è mutato profondamente: da regione a impianto rurale a motore del manifatturiero europeo, proiettata su scala internazionale.
Cinquant’anni dopo la prima seduta del Consiglio regionale, possiamo dire che il Veneto ha vinto la sua scommessa dimostrando una capacità di gestione straordinaria proprio nell’unica materia su cui ha effettiva competenza, la sanità, durante la pandemia che ha messo in crisi quasi tutte le nazioni più avanzate. Com’era accaduto per il policentrismo diffuso e l’economia della piccola e media impresa anche la sanità veneta è stata presa a modello e studiata a livello internazionale.
Cinquant’anni dopo il 6 luglio, la Regione del Veneto ha diritto ad ottenere quell’autonomia che ha conquistato guidando una regione da povera che era al benessere. E’ il risulto di uno sforzo comune, a cui tutti gli attori sociali, economici, culturale e politici hanno contribuito, con contraddizioni, errori, limiti, ma anche con risultati inattesi, insperati e grande capacità. A chi dice che le Regioni non servono, possiamo ribattere con i fatti, con la nostra storia.
Una grande storia (e non solo, ma anche, per questi ultimi cinquant’anni).
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