Venticinque anni sono trascorsi dalla scomparsa di Bettino Craxi il 19 gennaio 2020 ad Hammamet, eppure il suo nome sembra dissolto nella nebbia dell’oblio collettivo. Un Paese che si ritiene maturo dovrebbe avere il coraggio di affrontare la propria storia senza filtri, senza indulgere in comode semplificazioni. Invece, l’Italia preferisce cullarsi nell’amnesia selettiva, dimenticando volutamente chi osò pensare in grande. E tra i grandi ecco Bettino Craxi. Egli è stato certamente uno dei più ingombranti e, per questo, dei più temuti (leggi anche “Craxi, nessuna esaltazione: fu un politico migliore degli attuali solo perché è infima la caratura dei politicanti di oggi“).
Craxi non è stato solo il leader di un partito, ma il propugnatore di una visione moderna e innovativa, capace di sopravanzare i limiti asfittici della Prima Repubblica. Eppure, con spietata miopia, si è preferito ridurre la sua figura a un capro espiatorio, sacrificato sull’altare di una supposta moralità pubblica che, curiosamente, si è rivelata tanto selettiva quanto effimera. Tangentopoli, dicono, ha fatto giustizia. Ma a ben vedere, ha distrutto non solo Craxi, ma anche la possibilità del Paese di immaginare un futuro diverso. Giuseppe De Rita parlava di un’Italia che aveva perso il mito dell’oltre, quell’impulso a guardare avanti che Craxi incarnava perfettamente.
Si è dimenticato con disinvoltura il Craxi statista, capace di tenere testa a giganti della politica mondiale e di affermare con forza gli interessi nazionali. Si preferisce ricordare il Craxi processato, dimenticando però che la giustizia non è stata così solerte con altri protagonisti di quella stessa stagione. Eppure, basti ascoltare le parole di Jacques Delors o Felipe González per comprendere quanto Craxi fosse considerato un interlocutore di peso in Europa. Ma si sa, il nostro è il Paese che preferisce distruggere i suoi statisti piuttosto che esaltarli.
Oggi ci si lamenta della mancanza di visione della politica contemporanea, incapace di affrontare le sfide della rivoluzione tecnologica e delle complicate dinamiche globali. Ma ci si dimentica che chi aveva osato tracciare quella visione è stato messo alla gogna. La svendita del patrimonio industriale italiano, l’assenza di una strategia energetica, la debolezza diplomatica di cui solo ora, va detto, pare scorgere una controtendenza: ecco l’eredità di un Paese che ha scelto di rinunciare alla propria grandezza.
Si alzano le voci di chi, oggi, pretende di riscrivere la storia, ma forse sarebbe più onesto riconoscere che la storia non si cancella. Bettino Craxi merita di essere ricordato per quello che è stato: uno statista con una visione illuminata. Un uomo che ha pagato anche il prezzo della sua indipendenza intellettuale e politica (si legga anche “L’intervento del 3 luglio 1992 con cui Bettino Craxi pronuncia il proprio J’accuse a un’intera classe politica che non esiterà a lasciarlo in pasto all’opinione pubblica…” e si veda lo stralcio centrale del suo discorso). E se proprio non si vuole fare giustizia della verità, almeno si abbia la decenza di astenersi dalle futilità.
A venticinque anni dalla sua scomparsa, è tempo di superare i pregiudizi e riconoscere che Craxi, statista con visione illuminata, ha sfidato i confini della politica tradizionale, pagando il prezzo della sua audacia. Non è comodo ammetterlo, ma talvolta la verità ha il sapore amaro di ciò che non si è voluto digerire. Come un caffè troppo forte, che però sveglia chi ha il coraggio di berlo fino in fondo.
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