Ehi, il Parlamento fa le leggi e la magistratura le applica. Punto. Che rassicurante semplicità! Pare quasi di sentire il tintinnio di una campanella scolastica che decreta la fine della ricreazione. Nessuno osi discutere: la divisione dei compiti con la separazione delle carriere è netta, cristallina, come un manuale di educazione civica di terza elementare. Eppure, sembra che qualche magistrato distratto abbia dimenticato questa elementare lezione.
Interessante, poi, questa distinzione chirurgica tra la “parte” della magistratura, permalosa ed egemone, e la restante che invece applaude la riforma costituzionale. Una fotografia perfetta: da un lato, i diffidenti custodi del potere giudiziario, dall’altro, i ragionevoli e progressisti, se progresso è la separazione della carriere. Come resistere a un simile quadro così ben bilanciato?
E che dire dell’ardita citazione cinematografica: “Finché morte non ci separi”. Un accostamento raffinato, senza dubbio, che riduce la complessità del dibattito a un matrimonio forzato e forse un po’ logoro. Del resto, quale miglior modo per analizzare una riforma costituzionale se non attraverso i titoli di film thriller?
La narrazione prosegue con la sorpresa di +Europa e Azione che votano a favore con qualche italica riserva. Chi l’avrebbe mai detto! Forse Pirandello stesso si sarebbe commosso di fronte a tanto imprevedibile pragmatismo. Perché, si sa, in politica tutto è teatro e ognuno recita a soggetto.
Passiamo poi ai “dissidenti cronici”. Ah, questi eterni insoddisfatti, sempre pronti a invocare soluzioni diverse, migliori, più complesse. Come osano? Non capiscono forse che garantire la parità tra accusa e difesa è già un obiettivo nobile e sufficiente? Ma certo, il diritto a un giusto processo è sacrosanto—purché si eviti di parlare dei tempi biblici della giustizia. Dettagli, naturalmente.
E infine, i “profeti di sventura”. Quanta teatralità nel paventare derive autoritarie! La riforma, ci rassicurano, non metterà certo la pubblica accusa nelle mani capricciose della politica. E poi, anche se così fosse, sarebbe solo un altro affascinante capitolo della grande saga italiana del potere.
In fondo, il vero problema è sempre lo stesso: questa ossessione tutta italiana per il dramma, per la rappresentazione esasperata della realtà. Perché mai attenersi ai fatti, quando si può arricchirli con pennellate di apocalisse e sfumature di tragedia?
Forse un giorno si arriverà a discutere serenamente di riforme, senza invocare Armageddon o citare Pirandello. Ma fino ad allora, godiamoci pure questa raffinata commedia dell’arte. In fondo, è tutto parte dello spettacolo.