Nella cosiddetta Prima e nella Seconda Repubblica si sarebbe parlato di tregua armata. I 5 Stelle si credono già nella Terza come se tutto fosse rivoluzionato e le logiche che dominano la politica non siano sempre le stesse. E infatti anche in questo governo giallo-verde basato su una coalizione di partiti i due leader devono rincorrere i loro elettorati e tirare acqua al loro mulino. La presentazione del decreto anti-corruzione da parte del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, alla presenza del premier Giuseppe Conte e del vicepremier Luigi Di Maio è andata di traverso a Matteo Salvini che ha tanti dubbi su un provvedimento che definisce «manettaro»: trasformerà 60 milioni di italiani in presunti colpevoli, quindi perseguibili.Ora aspetta i grillini e lo stesso Bonafede al varco delle misure sulla prescrizione, ma intanto Salvini ha dato indicazione ai capigruppo del Carroccio di tenersi pronti a cambiare le norme anti-corruzione nelle commissioni e nelle aule parlamentari. Con quali voti? Con quelli di Forza Italia, ovviamente, il partito più contrario in assoluto che in questi giorni ha alzato il volume delle critiche, mettendo il dito nella piaga del «matrimonio contro-natura».
Convivenza difficile ma obbligata che ha l’ambizione di durare una legislatura. Al primo vero banco di prova, quello sulla Legge di Bilancio, non sono però ammissibili rotture che coinvolgono temi importanti come la giustizia e il rapporto con la magistratura. Luigi Di Maio ha fatto la parte del saggio: ha raccontato pubblicamente di avere chiamato l’altra sera Salvini per dirgli che così non si fa, non si attacca la magistratura visto che fa tanto contro la mafia, la corruzione e i grandi reati. Le dichiarazioni del leader leghista a Cernobbio, dove ha sottolineato che non c’è un golpe giudiziario, sono sembrate l’effetto della «ramanzina» di Luigi a Matteo. Il quale, in un primo momento aveva deciso di non smentire il suo collega vicepremier. Poi in serata ha deciso di far sapere urbi et orbi di non avere ricevuto nemmeno un sms da Di Maio: nessun richiamo al rispetto della magistratura. «Anche perché – spiega Salvini – io non ho mai attaccato tutta la magistratura. Nessun paragone con Berlusconi. Io mi sono limitato a parlare dell’incriminazione di sequestro per la nave Diciotti e della sentenza sui 49 milioni». Si fa una risata Salvini quando gli si chiede se addirittura abbia visto a quattr’occhi Di Maio. «Ma se ieri sera sul tardi sono andato a mangiarmi una pizza a Napoli!». Sì Salvini, dopo una giornata massacrante, si è messo in macchina con la sua fidanzata ed è andato a Napoli a mangiarsi una pizza. Ma c’è un dato che gli ha dato tanto fastidio: passare per quello che ha rettificato il tiro sui magistrati dopo la presunta telefonata o colloquio con il capo dei 5 Stelle.
C’è stata una telefonata tra il premier Giuseppe Conte e Matteo Salvini. «Lunga e cordiale» fanno sapere i rispettivi staff, una telefonata in cui il vicepremier leghista ha ringraziato il presidente del Consiglio per la solidarietà espressa per le inchieste giudiziarie che hanno travolto il leader del Carroccio. È vero, di tutto il governo è stato proprio Conte a difendere con più decisione Salvini, quasi volesse compensare la critica dei ministri MSS. Raccontano che il ministro della Giustizia Bonafede fosse pronto a uscire con un durissimo comunicato contro Salvini, perché i suoi continui attacchi ai magistrati lo stanno mettendo in difficoltà: «Già dicono che non li difendo abbastanza, così è troppo» è stato il suo sfogo.
I grillini hanno però chiari i paletti a cui non possono e non vogliono rinunciare. Sono interessati a ottenere due risultati, vitali per la futura sopravvivenza del Movimento: reddito di cittadinanza e riforma della giustizia. «Su questi non si discute, Salvini lo sa, ed è meglio che si metta l’animo in pace – è stato il ragionamento condiviso tra Di Maio e Bonafede – perché salterebbe l’accordo di governo». Precisazioni che però svelano anche come i grillini siano consapevoli che sono esattamente i due capitoli del contratto di governo a convincere meno Salvini.
di Amedeo La Mattina e Ilario Lombardo, da La Stampa