Il 19 aprile 1968, a Valdagno venne abbattuta la statua di Gaetano Marzotto. I quasi seimila lavoratori di Valdagno e Maglio erano scesi in sciopero e lottavano per opporsi alle condizioni imposte dall’azienda. Condizioni che peggioravano salario, salute e posti di lavoro. Di quella lotta si scrisse: “l’unità operaia-popolare ha spezzato il sistema feudale di Marzotto e ha fondato un sistema di forze nuove che ha visto legati i commercianti, gli studenti e i contadini alla classe sfruttata dei lavoratori della fabbrica; la città nuova, la Valdagno democratica nasce lì“.
A distanza di cinquanta anni, di quella lotta resta solo un ricordo sbiadito e la fotografia della statua di Gaetano Marzotto divelta e gettata a terra. Un simbolo di quella che fu l’aspirazione di riscatto del proletariato (una parola oggi abbandonata, diventata obsoleta nonostante la validità e l’attualità del significato) contro la protervia padronale. Fu, plasticamente, la caduta di quel (falso) mito del “padrone buono” che tanto faceva per i “suoi operai” ma che, nella realtà, li sfruttava in maniera spesso brutale e che (come dichiarato dal “giovane” Gaetano Marzotto qualche anno fa al processo Marlane Marzotto) pensava solo ai propri soldi.
Resta solo la memoria. La Marzotto è ancora un’azienda importante; i rampolli della famiglia occupano posizioni di primo piano. Le vicende nelle quali è implicata l’azienda (processi, indagini e altro) vengono spesso nascoste, soffocate dal silenzio mediatico. È stato così nel processo Marlane Marzotto (decine di lavoratrici e lavoratori morti di cancro, un inquinamento certificato nelle motivazioni di una sentenza che ha dichiarato non colpevoli tutti gli imputati) e per l’indagine sulla morte per mesotelioma (causa amianto) di oltre 20 lavoratori di tre stabilimenti vicentini della Marzotto. È successo con la prescrizione che ha impedito agli operai dello stabilimento Marzotto di Caserta esposti all’amianto (circa ottanta) di vedersi riconosciuta la rivalutazione dei contributi. Succede per le gravissime questioni ambientali e sanitarie legate all’inquinamento per PFAS nelle quali il nome “Marzotto” (strettamente legato alla RIMAR – “Ricerche Marzotto” – vecchio nome dell’attuale Miteni), quando appare, è “sfumato”, “in lontananza”, percepito come “esente da qualsiasi responsabilità” per un inquinamento iniziato non certo da poco tempo.
A distanza di cinquant’anni è bene ricordarsi delle lotte operaie, come quelle degli operai della Marzotto, che hanno permesso la conquista di diritti oggi sempre di più messi in discussione e cancellati. Il tentativo, allora, era quello di affrancarsi da una mentalità da “sudditi” e diventare protagonisti dello sviluppo economico e industriale del paese. Oggi, quell’aspirazione può esistere ancora? Possiamo sperare, ancora, che non si subisca passivamente qualsiasi decisione padronale anche perché ritenuta ineludibile? E possiamo ancora credere che il capitalismo trionfante sia l’unico sistema possibile? Certamente, ma è necessario prendere coscienza, unirsi e lottare.