E di questi giorni la notizia che la Provincia Autonoma di Trento ha, su richiesta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, inviato a Roma una lettera di intenti in merito al possibile proseguimento della A31 Valdastico Nord.
In sintesi si tratterebbe di mantenere il tratto veneto già progettato (Piovene Rocchette – Pedemonte) e, dopo una drammatica conversione di oltre 90° a sinistra puntare poi, tra gallerie e viadotti, verso l’altipiano dei Fiorentini, Passo Coe, Terragnolo (possibile casello), Vallarsa (altro possibile casello) e poi sbucare in Val Lagarina tra Rovereto ed Ala.
Al di la di considerazioni tecniche, ambientali ed economiche, opere del genere potrebbero essere, a nostro avviso, sostenibili qualora si trattasse di un rilevante collegamento internazionale o, internamente, per collegare due nodi viabilistici, economici ed urbanistici di primaria importanza (Bologna con Firenze, il Tirreno con l’Adriatico o simili); ma qui stiamo parlando di collegare due aree sì rilevanti dal punto di vista economico e produttivo, ma il cui interscambio merci non giustifica certo la costruzione di una tale opera.
Relativamente allo sviluppo dell’opera, si partirebbe da una quota di circa 350 mt (circa) e prevedendo uno svincolo in zona Terragnolo “a servizio degli altopiani Cimbri” si arriverebbe a quota 750 mt (circa) per poi scendere a 130 mt in Val Lagarina, per un complessivo di (spannometricamente) 1000 mt di dislivello, il che comporterebbe una pendenza media del 4% sul lato veneto e del 6,2% sul lato trentino (6% è la pendenza massima longitudinale secondo la normativa italiana sulle autostrade), senza contare gli svincoli che sarebbero da prevedersi in massima parte in galleria e viadotto, circostanza che rischia di aumentare ulteriormente le pendenze.
Con questa infrastruttura si vorrebbero risolvere non uno, non due, non tre ma, “venghino siori e siore!” ben quattro differenti esigenze:
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- Collegare le zone produttive dell’Alto Vicentino con la A22 del Brennero e le aree produttive Roveretane;
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- Intercettare il traffico domenicale nell’area “Piovene Rocchette – Cogollo del Cengio”;
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- Sgravare di parte del traffico il tratto di SS Valsugana dalla zona dei Laghi a Trento;
Giustificare la proroga della concessione senza gara per la autostrada A4 Bs-Pd (non confessato).
Re Salomone stesso il bambino lo aveva diviso solo in due parti, ma il Presidente Fugatti cerca di superarlo, dividendolo in 4! Complimenti, non c’è che dire.
Non vi sono ovviamente al momento studi di fattibilità, progetti o analisi costi benefici, vi è solo una “intenzione”, un desiderata espresso nell’immagine in testa all’articolo, basato peraltro su di un tracciato già scartato e modificato nel 2012 dai proponenti.
Le diverse esigenze non possono chiaramente essere soddisfatte dalla stessa infrastruttura, e sarebbe un assurdo, sia dal punto di vista infrastrutturale che dal punto di vista politico dare corso ad entrambe le soluzioni, se non in una ottica clientelare volta al mantenimento della rendita di posizione finanziaria che il “monopolio naturale” di questa concessione (che arriva ormai a durare quasi 70 anni) costituisce per A4 Bs-Pd, A4 Holding, Abertis ed in definitiva Atlantia.
Non abbiamo rilevato dichiarazioni o reazioni sul versante Veneto, ne da parte delle Associazioni di Categoria (da sempre forti “sponsor” dell’opera) ne da parte del mondo politico lagunare, la cui maggioranza sostiene che l’opera andrebbe fatta “comunque e dovunque”.
Maggiori reazioni si sono avute dalle Amministrazioni Locali trentine, con qualche sporadica e coraggiosa voce anche dal Veneto, che si sono compattamente schierate per il NO, stante l’inutilità dal punto di vista viabilistico e trasportistico e le numerose criticità ambientali e idro-geologiche. Parrebbe infatti che siano evidenti e ben documentati i rischi di frane e alterazione del sistema di sorgenti sul versante trentino; ma, nostra considerazione, la montagna è un tutto unico, le criticità non spariscono solo perché c’è un confine amministrativo o perché l’altopiano cambia nome. Semplicemente dal versante Veneto non è stata effettuata una altrettanto completa ed esaustiva indagine, caratterizzazione e tipizzazione delle aree montane.
Tutto il territorio attraversato dall’opera è seriamente a rischio, sia che l’uscita fosse a Rovereto come a Besenello o Caldonazzo. La Vigolana, i Fiorentini, L’alpe di Coe, il Cengio, Frana Marogna sono solo alcune delle zone che potrebbero essere “traforate”.
Lo sbocco a Rovereto Sud rende inoltre praticamente irrilevante il beneficio della riduzione del traffico lungo la A22 del Brennero per lo snodo di Verona, aggirando anzi, per il traffico merci, l’interporto “Quadrante Europa” che dovrebbe servire per trasferire il traffico merci da gomma a rotaia lungo l’asse di attraversamento alpino e riproponendo il problema della saturazione della A22 da Rovereto al Brennero.
“Basso impatto ambientale” e “sostenibile” sono bellissime parole, ma che in Veneto siamo abituati a vedere concretizzate con un “se non lo vedo vuol dire che non c’è” ed a sotterrare tutto; rifiuti, scarichi, strade; salvo pagarne poi il prezzo anni o decenni dopo, in termini anche di salute.
E’ una splendida e lucida follia quella Veneta, siamo un Popolo che ha costruito una città sull’acqua (e ci è pure venuta bene, anche se con qualche problema di “umidità” negli ultimi anni) ma che sia tecnicamente possibile realizzare qualcosa non significa che si debba per forza farlo; le ragioni storiche ed economiche che hanno portato a realizzare il “Miracolo Venezia” difficilmente potranno ripetersi, ed il fatto stesso che il concetto di Paesaggio sia stato in pratica inventato dagli architetti, dai “paròni” e dai vedutisti veneti dovrebbe farci lottare come ossessi per la salvaguardia di questo Patrimonio che non è di nostra proprietà ma che abbiamo solo ereditato e che dovremmo trasmettere alle future generazioni intatto.
Così come gli architetti navali tedeschi sostenevano che “il migliore portello stagno è quello che non c’è” (ed infatti nella Prima Guerra Mondiale le navi tedesche risultavano “molto più incassatrici ma meno vivibili” rispetto alle corrispettive britanniche che riuscivano alla fine a prevalere, e non sempre, grazie soprattutto alla superiorità numerica) così molti ritengono che l’opera a minore impatto ambientale sia quella che non viene proprio fatta, specialmente in questi tempi di rapidi e drastici mutamenti climatici, tecnologici e relativi ai flussi di merci, con il rischio di iniziare a costruire una opera già obsoleta pensata negli anni ’60, e di andare a impattare su un’area molto delicata che assicura larga parte del sistema di ricarica delle falde di pianura.
Al di la del titolo, che ci riporta alla mente brani di Luciano Ligabue e vecchi albi di Dylan Dog, è chiaro che la pianificazione delle infrastrutture e del territorio non può essere fatta in questo modo; ma tant’è, questa è la classe politica che ci ritroviamo e, per citare l’Alcide (vero Statista trentino) “dobbiamo costruire con i mattoni che abbiamo”, nella speranza che reggano il peso e non si sbriciolino, ma questa è un’altra storia.