Abbiategrasso, focolaio variante inglese Covid nonostante seconda dose Pfizer. Sindacato Nursing Up: “interventi urgenti e indagini specifiche”

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Medici e infermieri italiani in azione contro il Covid dall'insorgere della pandemia
Medici e infermieri italiani in azione contro il Covid dall'insorgere della pandemia

«Il caso del focolaio da variante inglese esploso nell’ospedale lombardo di Abbiategrasso, in una Regione che da sempre, dall’inizio della pandemia, è quella più vessata dal virus e chiaramente più a rischio, sia per pazienti che per la salute degli infermieri, ci pone di fronte all’avvenuto contagio di ben sette colleghi che erano già stati sottoposti alla seconda somministrazione di Pfizer. Ci sorprende e ci preoccupa, poi, il fatto che solo uno di questi professionisti lavorava in un’area Covid». Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up, Sindacato Nazionale Infermieri, chiede in un comunicato al Ministero della Salute, in tempi brevi, l’avvio di uno studio specifico per comprendere la reale copertura dei vaccini anti-covid, attualmente a disposizione, in particolare su quei soggetti, parliamo proprio degli operatori sanitari che, in prima linea ogni giorno nella lotta contro il virus, più di altri corrono il rischio di entrare a contatto con l’agente eziologico Sars Cov 2 e che pertanto bisogna proteggere in maniera particolare, se non vogliamo che l’altalena dei contagi diventi una costante del nostro vivere quotidiano.

«Le loro condizioni di salute, in alcuni casi legati a un idoneo livello anticorpale non raggiunto nonostante il vaccino, o che, seppur raggiunto, si è abbassato troppo repentinamente, e poi la costante esposizione ad un virus che è mutato, e che, anche se coinvolge un numero inferiore di persone, è chiaramente più potente e aggressivo, e nel contempo la conosciuta, purtroppo non totale efficacia dei prodotti in uso, devono rappresentare un chiaro campanello di allarme che non deve lasciare immobili le istituzioni. Non ci basta che venga affidata alla mera casistica la spiegazione di vicende gravi e allarmanti come questa. Di fronte a casi di tal genere la scienza deve mobilitarsi. Le mere citazioni cartesiane non risolvono il problema.

Non possiamo certo rimanere impassibili di fronte a episodi come questo. Insomma qui si parla di gente che si ammala di Covid addirittura a distanza di mesi dalla seconda somministrazione. Non possiamo permettere, senza prima tentare ogni possibile strada per evitarlo, che un infermiere già vaccinato si infetti, dando per scontato che non subirà gravi conseguenze dall’aver contratto il virus, e soprattutto non possiamo accettare sommessamente che diventi a sua volta un rischio involontario per i soggetti con cui viene a contatto, siano essi familiari, colleghi o pazienti.

Nell’immediato non possiamo fare altro che affidarci ad azioni mirate, ad una sinergia che si traduca in screening costanti sulla salute degli operatori sanitari, promuovendo tamponi quotidiani sul personale e misurazioni del livello anticorpale su chi si è già vaccinato.

Non possiamo certo aspettare che un infermiere si ammali e che magari contagi colleghi e pazienti per capire di non aver opportunamente e previamente valutato e monitorizzato le sue condizioni. Gli operatori sanitari, già vaccinati, che presentano livelli anticorpali bassi, e quindi condizioni di palese rischio, in presenza di prodotti anti-covid del cui effetto non abbiamo ancora evidenze incontrovertibili e definitive (oltre agli studi condotti dalle rispettive case), in tema di percentuali di efficacia, vanno tutelati e protetti molto prima che possano infettarsi, diventando anche veicolo di contagio per gli altri».