Achille Variati al CorVeneto: “non penso che andrò ai giardinetti a guardare gli uccellini”

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Dieci anni da sindaco lasciano il segno. A differenza di altri ruoli istituzionali, non c’è la possibilità di nascondersi al cittadino elettore. Io, poi, sono anche tornato sul luogo del delitto…». Mezz’ora prima di affrontare il suo ultimo consiglio comunale da (tre volte) sindaco di Vicenza, Achille Variati chiama idealmente accanto a sé Mariano Rumor e Massimo Cacciari per accompagnarlo nel congedo dalla vita pubblica. Che poi, come si vedrà nel corso dell’intervista, non è affatto detto finisca qui.

Variati, se le diciamo 7 maggio cosa le viene in mente?

«La prima elezione a sindaco, la grande emozione quando giurai davanti al prefetto e mi pareva che quella fascia fosse già tanto pesante. Avevo 37 anni ma stavo in consiglio comunale già da dieci, eletto per la prima volta nel 1980».
Il congedo dal Comune arriva la sera del 24 aprile: è un po’ la sua festa della liberazione?

«(ride, ndr) Attenzione che io non scappo, farò il sindaco sino all’ultimo e, chiunque vica le elezioni di giugno, mitroverà in municipio per il passaggio di consegne. Poi, di sicuro sarò un po’ più leggero».
In quasi quarant’anni di politica attiva ha conosciuto tutti i potenti del Veneto, ad alcuni dei quali ha fatto fiera opposizione: chi ha stimato di più e chi, invece, ha dovuto sopportare?
«Ho stimato e stimo moltissimo Massimo Cacciari, un uomo che da sindaco di Venezia è stato molto importante e che poi, da consigliere regionale di opposizione, ha dimostrato un grande rispetto per la democrazia assembleare e una lungimiranza assoluta. Ho dovuto sopportare il sistema di potere che stava intorno al governatore Giancarlo Galan. All’uomo riconosco grande intelligenza, di cui si sentirebbe il bisogno ancora oggi, ma il sistema che a lui faceva riferimento era chiaramente malato. Ricordo che, durante una campagna elettorale per la Regione, venne a un incontro nel Vicentino dov’erano presenti diversi consiglieri regionali. Li salutò tutti ma, quando fu il mio turno, si rifiutò di darmi la mano, facendo l’offeso per l’opposizione che non gli avevo risparmiato in aula. Sul momento la cosa mi ferì ma guardandola con gli occhi di adesso…».
A chi si sente di dire grazie nel giorno dei saluti?

«Mi fate andare molto indietro, a una persona che non c’è più da tanti anni. Dico sempre grazie al mio maestro, Mariano Rumor. Fu lui che mi incoraggiò da giovane e che mi insegnò alcune cose fondamentali: il rispetto per tutti, il ripudio della violenza verbale nel confronto politico e l’idea che per essere un buon politico, o un buon amministratore, bisogna essere popolari senza essere populisti».

Qual è la differenza essenziale?
«I populisti strumentalizzano i bisogni della gente ma non li risolvono; essere popolari, invece, significa venire riconosciuti dalla gente per i risultati ottenuti».
Verrà un giorno in cui la sua parte politica, il centrosinistra, potrà vincere anche in Veneto?
«Le campagne elettorali, in fondo, sono delle storie: vince chi riesce a suscitare emozioni negli elettori. Anche la paura, come si è visto spesso. Ora, se fai di tutto un po’ o scopiazzi i temi degli altri, la gente sceglierà sempre l’originale. Perciò, il centrosinistra vincerà anche in Veneto quando avrà un proprio vocabolario originale, senza scimmiottare gli altri ma dicendo pane al pane. Poi, come sempre, ci vuole un leader vero».
Quello di stasera (ieri sera per chi legge, ndr) è un congedo definitivo dalla vita pubblica? O c’è ancora spazio per nuove esperienze, questa volta magari fuori dal Veneto?
«Potrebbe anche finire qui, in tutta sincerità ancora non lo so. Di sicuro ho bisogno di un periodo per ripensare a me stesso, ai miei affetti, però stare improvvisamente lontani dall’impegno politico, dopo tanti anni, può risultare difficile. Stiano tutti tranquilli, non soffro l’ansia di avere una ricollocazione. Ma non penso che andrò ai giardinetti a guardare gli uccellini».
Per curiosità, alla voce «professione» sulla carta d’identità cosa c’è scritto?
«Ormai ci devo scrivere “pensionato”, ho fatto i 65 anni e ho cominciato a lavorare molto presto, dopo il diploma ho preso la laurea in Matematica da studente lavoratore. Detto questo, mi sembra che di saggezza e di autorevolezza in giro ci sia ancora tanto bisogno».
E allora, a 65 anni, cosa si può fare «da grandi», dopo essere stati sindaco per 15 anni e consigliere regionale per altri 13?
«La vera domanda è questa: se si dovesse presentare qualche altra occasione, come potrò rendermi ancora utile, ma utile veramente? Perché non c’è cosa peggiore di infilarsi in una di quelle situazioni nelle quali chi ti sta attorno non vede l’ora di allontanarti con una pedata nel sedere, perché hai fatto il tuo tempo. Io voglio andarmene con la schiena dritta e camminando sulle mie gambe».

dal Corriere Veneto – Pag. 3 – di Alessandro Zuin