Sono sempre stata contraria a quest’accoglienza, non per l’accoglienza, perché così impostata è una vacca da mungere che non va bene. Avevo saputo da un extracomunitario che in prossimità di Dueville era stata collocata una famiglia afgana e che le condizioni della casa non erano delle migliori, lui conosceva quella casa e i precedenti ospiti. Ogni tanto mi capita di essere contattata da qualcuno, se sono contattata direttamente cerco di aiutare… ma non vado in cerca di altri “assistiti”. Non ho né titolo, né voglia di bussare alle porte degli altri per prendermi altri impegni ai quali, poi, forse non sarei in grado di far fronte.
Avevo però la sensazione che in qualche modo quegli afgani mi appartenessero, fossero parte della mia vita e del mio modo atipico di aiutare chi voglio io. Così il 5 ottobre 2021 ho approfittato della visita di Roberto Bruni, amministratore delegato e top manager della Ciano International per chiedergli se a Vicenza fossero stati destinati degli afgani, parte di quei 115 da lui evacuati. Ha fatto una ricerca e abbiamo individuato una famiglia e, guarda caso, era proprio residente dove mi era stato segnalato dal mio “informatore”.
La loro serenità, i loro sorrisi non sono serviti a rincuorarmi. È chiaro che quando uno scappa dall’inferno di Kabul e arriva in Veneto, l’istinto di sopravvivenza gli fa scambiare la cacca con la cioccolata. Quando però si offre ospitalità, l’ospite deve essere sacro.
Questa famiglia, due minori e i genitori, è arrivata il 21 settembre, i primi due giorni li ha passati a pulire lo sporco trovato, gli altri con le pulci o pidocchi che siano (non sono esperta in materia). I bambini dormivano sui letti “più buoni” e i genitori a terra, perché gli altri letti avevano materassi lerci e intrisi di pulci… e se Roberto ed io non avessimo fatto un raid?
Disgustosa la telefonata ricevuta dalla responsabile della Cooperativa in carico “Buongiorno sono sempre A ho parlato con la prefettura, la quale mi dice che comunque, per regolamento e in ogni caso, Lei aveva bisogno di una, come si dice, autorizzazione per entrare in un CAS (Centro Accoglienza Straordinaria, ndr) della prefettura, quindi non so, magari lei ce l’avrà sicuramente un mandato, un qualcosa per entrare in un CAS, per sicurezza, ma non vale solo per gli afgan e vale per tutti i cittadini immagino che lei ce l’abbia, sicuramente. Infatti io glielo ho detto”.
La risposta di Roberto è “Guardi non si preoccupi per la forma, la sistemiamo, siamo in contatto con il… , io da qui vado via quando abbiamo sistemato, sono in contatto ora con il Ministero degli Interni e io da qui vado via solo quando tutto sarà sistemato, io sono qui come amministratore e datore di lavoro dei cittadini afgani che sono qui in Italia”.
Un bel silenzio sarebbe stato apprezzato. “Karola” ha insegnato agli italiani che di fronte all’emergenza si può violare la Legge e speronare una imbarcazione militare e i giudici l’hanno confermato.
Io il premesso non ce l’avevo proprio per entrare e nemmeno ne era segnalata la richiesta con un cartello visibile. Perché poi avrei dovuto avvisare? È un bene che si sia entrati senza avvisare nessuno, così abbiamo visto lo stato di degrado con cui la Cooperativa aveva sistemato degli esseri umani fuggiti dai talebani. Ricordo che durante la Seconda guerra mondiale la Croce Rossa Internazionale avvertiva sempre prima delle ispezioni nei campi di sterminio… Infatti i campi di sterminio hanno retto fino alla fine della guerra. Io avrò anche violato inconsapevolmente una legge, ma anche la cooperativa perché credo che pulci, pidocchi e sporcizia non siano parte dell’accordo con le Prefetture.
Abituata a fare le cose con il cuore, giuste o sbagliate che esse siano, rimango basita da tanta indifferenza locale. Vorrei che l’inserimento in Italia degli afgani sia un accessorio della memoria e del futuro, in grado di dar spazio a nuove sensibilità, nuove necessità quotidiane e non sia solo uno strumento creato per difendersi dalle aggressioni di una inciviltà che non è insita nella nostra popolazione, ma profusa da cooperative menefreghiste perché non sentono il fiato sul collo del controllo che la Prefettura dovrebbe attuare.
Sono in possesso di foto e documentazione e per favore, non rompetemi i cabbasisi, con me non avrete vita facile. Se c’è qualche vicentino di buon cuore, ci si può coordinare per dare un futuro migliore a questa famiglia, magari con il contributo di alte entità, dell’Unione Italiana delle Comunità Ebraiche, la Ciano International, tutte le persone che in un modo o nell’altro operano in sinergia per aiutare 115 afgani.
Comunque in serata i problemi sono stati tutti risolti, nuove coperte, nuovi materassi, anche una visita medica per il bambino e una pomata per la scabbia… Magari questa si poteva evitare con un ambiente disinfestato prima dell’entrata, come dovrebbe fare la società civile e non dopo 15 giorni di permanenza sul lercio. Siano abolite le regole CAS e siano i cittadini liberi di visitare “le case di accoglienza” dove sono ospitati quelli che ne hanno davvero bisogno Rimango convinta che la gestione dovrebbe essere diretta e non affidata a cooperative che agiscono in piena autonomia. Poi, gli altri possono dire quello che vogliono, io riporto quello che ho visto, documentato e non da sola: accoglienza questa sconosciuta!