Giovedì 19 agosto ore 19.00 in piazza Castello a Vicenza si terrà una manifestazione organizzata dall’associazione Welcome Refugees, dal centro sociale Bocciodromo e dal circolo Caracol Olol Jackson per porre l’attenzione sul dramma che sta vivendo e vivranno uomini e donne, ma soprattutto donne, afghani, dopo il ritorno dei talebani al potere. “Le immagini che ci arrivano dell’Afghanistan fanno raggelare il sangue: aeroporti colmi, persone che pur di scappare si aggrappano agli aerei in fase di decollo per poi precipitare nel vuoto. Noi occidentali, gli Usa e la Nato, abbiamo una responsabilità ben precisa rispetto a quello che sta succedendo: diciamo di volere esportare democrazia mentre in realtà esportiamo armi e morte: il resto, “nation-building”, diritti umani, diritti delle donne, è un intrattenimento per far credere che con le cannonate facciamo del bene – spiegano gli organizzatori in un comunicato -. Chi paga davvero il prezzo del fallimento e il ritorno dei talebani non sono gli americani o noi europei, loro complici, ma gli afghani. In vent’anni i progressi per loro sono stati insignificanti e le perdite umane altissime: sono stati decine di migliaia i morti deceduti negli ultimi anni nei raid americani e Nato, molti di più che negli scontri con i talebani. Spesso la presenza militare italiana in Afghanistan viene descritta come una missione di pace, raffigurando il militare italiano in missione come un portatore di pace e di aiuti umanitari, colui o colei che il fucile lo imbraccia solo per necessità. Il film però è diverso, l’Italia in Afghanistan ha combattuto e bombardato, distrutto e ucciso, impiegando reparti d’élite del nostro esercito e mezzi di ultima generazione per garantirsi un vantaggio tattico non indifferente. L’Afghanistan è stato per anni una palestra e un poligono di tiro, lontano anni luce da quell’idea di soft power che aiuta i locali a costruire le scuole e i pozzi d’acqua. La realtà è stata ben diversa perché è stata guerra vera, con costi umani spaventosi e con una spesa di oltre otto miliardi di euro”.
“Vent’anni fa invece di andare in Afghanistan per conquistare un paese e cercare poi di ricostruirlo manu militari, occorreva piuttosto ascoltare tutti coloro che sostenevano che l’Afghanistan andava aiutato ascoltando le necessità e la volontà della sua gente, senza quell’arroganza imperialistica, che guarda solo ed esclusivamente gli interessi economici e militari, che ha caratterizzato le politiche degli ultimi settant’anni e che è evidente ancora oggi negli accordi con la Libia. La cosa migliore che noi occidentali possiamo fare – concludono gli organizzatori della manifestazione – è quella di aprire canali umanitari per garantire dei passaggi sicuri ai profughi; è quella di andare dove la fortezza Europa ha alzato i suoi muri e abbattere i confini; è quella di chiedere a gran voce la fine delle politiche colonialiste che non fanno altro che portare morte e devastazione nel mondo”.