Agamben contro i cento filosofi: le discussioni pubbliche in tempo di pandemia. Il ritorno della “Filosofia in Agorà”

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Giorgio Agamben e i cento filosofi
Giorgio Agamben e i cento filosofi

Insegnandola al liceo, dovrei essere contento del ritorno – in tempo di pandemia – della filosofia nelle discussioni pubbliche italiane, infatti, dal video Giorgio Agamben ai cento professori universitari firmatari di una lettera contro di lui, tutti i filosofi italiani hanno detto la loro sulla gestione della pandemia dei governi che si sono succeduti, alimentando un dibattito tra critici e difensori delle misure adottate e, ultimamente, tra pro e contro green pass.

È possibile scorgere in questa folla di intellettuali molti nomi celebri: dall’onnipresente ospite di Lilli Gruber, il prof. Massimo Cacciari, al direttore di Micromega, Paolo Flores d’Arcais, passando per la co-ideatrice di Tlon, Maura Gancitano, senza dimenticare la professoressa Donatella Di Cesare e il filosofo sovranista Diego Fusaro.

Una passerella di personalità che hanno comunicato la loro Weltanschauung e soluzione del problema (spesso anche accompagnato dalla pubblicazione di un libro), con toni che sono andati dal profetico al catastrofista e al giustificazionismo.

Tuttavia, la pandemia non ha scatenato solo la penna di questi big della filosofia, ma anche tantissimi studiosi e professionisti della materia hanno scritto e detto la loro sui mezzi più vari: rubriche, giornali, social e quanto altro (questo articolo ne è la dimostrazione!)

Insomma, alla fine ho scoperto che l’Italia è un paese che tiene e crede molto alla filosofia: è addirittura di pochi giorni fa la notizia che il Ministro della Pubblica Istruzione, Patrizio Bianchi, vorrebbe far sì che la filosofia venisse insegnata non solo nei licei ma anche negli istituti tecnici.

L’Italia è un paese che tiene talmente tanto alla filosofia da porla al di sopra di tutti gli altri saperi, sviluppando contemporaneamente un dilagante sentimento antiscientifico: in molti ormai protestano e diffidano dei vaccini e di chi li produce perché marionetta prezzolata delle Big Pharm e altri ancora screditano l’autorità degli scienziati esperti perché ritenuti non capaci di restituire un’oggettività nella valutazione dei dati pandemici, ma di essere condizionati dai governi e da altri interessi più o meno occulti.

Ed è in questo contesto che la filosofia torna ad essere la regina dei saperi: un sapere che vuole proclamarsi critico ed altro rispetto alla scienza; un sapere che vuole incidere nella vita sociale e politica dello Stato; un sapere che, nel criticare il presente, procede con affermazioni sul dover essere delle cose del mondo in forma quasi catechetica.

Insomma, un sapere sciolto da ogni vincolo e, quindi, assoluto (absolutus in latino significa sciolto, senza vincoli, ma anche assolto) di contro a quello relativo (collegato, vincolato e dipendente) delle scienze: l’immagine – mi sembra – che della filosofia aveva il filosofo idealista Giovanni Gentile quando ha riformato la scuola italiana durante il fascismo, di cui il pregiudizio sulla scienza era un corollario necessario.

Scriveva Gentile, infatti, che «La filosofia è essenziale allo Stato, perché è essenziale alla vita dello spirito. Senza di essa né Stato, né religione, né arte, né scienza, né moralità»[1].

Eppure, non tutta la filosofia ed i filosofi hanno avuto questo sospetto verso la scienza: c’è tutta un’altra tradizione, più materialistica, – culminata nell’Illuminismo – che ha affermato il mutuo sostegno di filosofia e scienza e non il disprezzo reciproco; una tradizione basata sulla tolleranza e il rispetto di punti di vista differenti e sull’ammissione dei limiti di ogni sapere. Tradizione che attraversa i filosofi più diversi ma che, senza violenza e rigidità teoriche, è aperta al dialogo interdisciplinare e alla complessità del reale.

Il mio augurio è che la filosofia italiana contemporanea e i suoi big possano alla fine ammettere quello che Jean-Paul Sartre scriveva alla fine della sua autobiografia: «Per molto tempo ho preso la penna per una spada: ora conosco la nostra impotenza. Non importa: faccio, farò dei libri; ce n’è bisogno; e serve, malgrado tutto. La cultura non salva niente né nessuno, non giustifica. Ma è un prodotto dell’uomo: egli vi si proietta, vi si riconosce; questo specchio critico è il solo ad offrirgli la sua immagine»[2].

[1] G. Gentile, Genesi e struttura della società, in L’attualismo, Bompiani, Milano 2015, p. 1340.

[2] J.P. Sartre, Le parole, Il Saggiatore, Milano 1994, p. 175.


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a cura di Michele Lucivero

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