Agorà e Covid, Michele Lucivero: tra diritto di critica e negazionismo, la discussione sulle decisioni politiche e i dati epidemiologici

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Covid, Crisanti e Gismondo alla festa de Il Fatto Quotiodiano
Covid, Crisanti e Gismondo alla festa de Il Fatto Quotiodiano

Quello che sta andando in scena drammaticamente, ormai da diversi mesi, con l’irruzione della pandemia Covid in tutto il mondo è una strana combinazione di elementi che fanno parte della quotidiana amministrazione delle nostre società, vale a dire da una parte la lettura di fenomeni che hanno a che fare con l’umanità e, dall’altra, la loro gestione da parte della politica, solo che le condizioni di emergenza ne amplificano la portata, anche in virtù della necessità di trovare subito delle soluzioni.

Agorà
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Se da un lato, dunque, sul versante dei fenomeni che hanno a che fare con l’umanità vi è un virus difficilmente arrestabile e insidioso, che infetta, riempie di pazienti gli ospedali, miete vittime, dall’altro vi è la politica che decide cosa debbano fare le donne e gli uomini per evitare che lo stesso si diffonda, una politica che si è incartata spesso, almeno in Italia, ma questo capita necessariamente nei paesi democratici in cui si fa appello alla responsabilità dei soggetti, tra consigli e obblighi, come sosteneva giustamente qualche settimana fa Andrea Petracca nella nostra rubrica.

Ora, a ben vedere, si tratta di due orizzonti che differiscono completamente, infatti nel primo caso è possibile documentare l’avanzata del virus con precisione mediante dati inconfutabili, certi, che hanno a che fare con i pazienti positivi al tampone, pazienti che finiscono in ospedale e occupano fisicamente un posto letto, compresi quelli delle terapie intensive, e soggetti che muoiono; dall’altro abbiamo delle misure da prendere a livello politico affinché si possa fermare l’avanzata del virus ed è chiaro, anche dalla gestione nei diversi paesi del mondo, che si tratta di misure opinabili, soggette ad una serie di considerazioni politiche, economiche, sociali.

A questo punto, però, davanti all’esplodere delle proteste sulle misure politiche intraprese dal nostro Governo per contrastare quella che ormai è ufficialmente considerata la seconda ondata di propagazione del virus, s’impone una riflessione sulla natura molto sottile dei due orizzonti che abbiamo delineato precedentemente, giacché, a nostro avviso, sulla loro interpretazione e considerazione si gioca la differenza, altrettanto sottile, tra la legittimità dell’esercizio della critica e quel negazionismo che sta andando in onda in questi mesi nella più becera delle forme mediatiche e che, proprio per questo, scade in una forma rozza di populismo, anche distruttivo.

Chiariamo subito che non si tratta di una diatriba nuova nelle scienze umane, anzi nelle scienze in generale, ma se si vuole rintracciare un tentativo di venirne a capo in qualche modo, si può far ricorso al fortunato testo del filosofo Maurizio Ferraris, il quale proprio in seguito all’affermazione galoppante dei populismi mediatici, e alla smentita di quelli che erano i due dogmi del postmodernismo, cioè «che tutta la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile e che la verità sia una nozione inutile perché la solidarietà è più importante della oggettività», imprimeva una svolta al suo pensiero e cominciava a rincorrere un Nuovo Realismo articolato intorno a «un’ontologia naturale come teoria della inemendabilità e una ontologia sociale come teoria della documentalità»[1].

Ora, tornando sulla terra, alla nostra attuale situazione pandemica, alcune delle domande alle quali dovremmo cercare di rispondere, per cercare di comprendere il discrimine tra la critica politica, che riteniamo sempre legittima, e il negazionismo, di cui potremmo tranquillamente farne a meno, potrebbero essere: cosa è politico e cosa non lo è? Ci possiamo fidare dei dati e di come vengono costruiti? I dati “parlano da soli” oppure hanno bisogno di interpretazioni, di ermeneutiche, di soggetti esperti che li leggano?

Se volessimo seguire una stretta visione scientistica, dovremmo fidarci degli esperti, degli scienziati, degli epidemiologi che ci forniscono le interpretazioni oggettive dei fatti e ammettere che i dati, i numeri dei soggetti positivi al Covid 19, dei pazienti ricoverati e di quelli deceduti sono inemendabili, certi, mentre dovremmo esercitare la nostra critica sull’aspetto politico della gestione, giacché un ristorante debba lavorare a pranzo e non a cena, che un bar debba chiudere alle 18.00 e non alle 20.00 è evidentemente opinabile.

Eppure bisogna fare anche i conti con chi, tra gli esperti e i medici, afferma che i dati sono costruiti male, come da Bruno Vespa la dott.ssa Maria Rita Gismondo dell’Ospedale Sacco di Milano, oppure chi, nella fattispecie l’Istituto Superiore della Sanità, quei dati li legge diversamente e afferma che la maggior parte dei pazienti non muoiano direttamente a causa del Covid-19, ma per le complicazioni che esso comporta su malattie preesistenti, complicazioni che ci sarebbero state anche in seguito ad una banale influenza.

Così come bisogna fare i conti con le affermazioni del prof. Giorgio Palù, ordinario di microbiologia e virologia dell’Università di Padova, entrato in forte polemica con il suo collega padovano (o allievo?) Andrea Crisanti, definito “zanzarologo” e inesperto di virologia, il quale ritiene che non si possano definire malate le persone asintomatiche trovate positive al tampone molecolare e che continuare a contarle è «dal punto di vista razionale un non-senso, dal punto di vista scientifico non perseguibile e non giustificabile e dal punto di vista pratico […] non impatta sull’infezione», gettando discredito sulle modalità con cui la comunità scientifica, che attualmente è rappresentata dal Comitato Tecnico-Scientifico, sta gestendo la pandemia in Italia.

È esattamente questo tipo di discrepanza all’interno del mondo della scienza che, oggi come ieri, permette l’avanzata del populismo mediatico, del prospettivismo, della presa d’atto che tutta la realtà è manipolabile, così come, in relazione al Covid-19, del negazionismo spinto anche da parte di medici. Del resto, in questa circostanza estremamente confusa, se pure volessimo tentare di dare più credito agli esperti rispetto ai politici, come la mettiamo con quelle situazioni che mescolano i due ruoli, come nel caso del prof. Pier Luigi Lopalco, epidemiologo, ordinario di igiene presso l’Università di Pisa e, al tempo stesso, Assessore alla Salute della regione Puglia che, in qualità di politico, si trova al centro di una forte polemica sulla chiusura, riapertura e, forse, nuovamente chiusura delle scuole?

[1] M. Ferraris, Manifesto del nuovo realismo, Laterza, Roma-Bari 2012, pp. X-XI.


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a cura di Michele Lucivero

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