C'è una storia che è abbastanza credibile, benché probabilmente falsa, di un burlone che, vedendo un veterano in licenza portare a casa la sua cena, gridò all'improvviso, «Sull’attenti!», al che l'uomo istantaneamente abbassò le mani e lasciò cadere la sua porzione di montone e patate per terra. L’addestramento era stato completo e i suoi effetti si erano come incarnati nella struttura nervosa dell'uomo.
T.H. Huxley
In un articolo del 29 aprile 2020, Gustavo Zagrebelsky ammoniva sull’impossibilità di modellare i comportamenti individuali attraverso atti d’autorità: «Solo certi giuristi credono che le abitudini di vita si possano cambiare a colpi di decreti: le abitudini si cambiano con altre abitudini, non soltanto con le leggi. In qualunque società libera, le leggi senza le abitudini soccombono o, comunque, durano poco»[1]. Meglio sarebbe, concludeva, distinguere tra ubbidienza, dovuta alle leggi, e responsabilità, dovuta alla comunità in cui viviamo, in quanto i mezzi atti a promuovere l’una o l’altra non sono identici: «A ciascuno il suo: al governo le prescrizioni giuridiche (vietare, consentire e imporre), alla società nelle sue tante articolazioni, la promozione dell'etica della responsabilità»[2].
Il 16 ottobre Zagrebelsky è tornato sulla questione della responsabilità, richiamando la necessità di un nuovo patto sociale tra tutti i soggetti coinvolti per difendere l’apertura della scuola; secondo il giurista, sarebbe auspicabile un cambio di mentalità che conduca insegnanti, personale ATA, sindacati, dirigenti, studenti e famiglie a gettare il cuore oltre l’ostacolo della burocrazia: essa non va intesa come limite, ma come base minima dei doveri cui adempiere, che non preclude, perciò, l’uso di risorse individuali ulteriori (in termini di tempi e mezzi) per far fronte alle carenze riscontrate in questa complessa fase di ripartenza.
Così, dalla mobilitazione per difendere l'apertura delle scuole, dovrebbe generarsi un nuovo modello sociale in grado, ad esempio, di ridimensionare la drammatica situazione dei trasporti attraverso «la disponibilità dei genitori che possono accompagnare i figli con la propria auto a trasportare qualche loro compagno»[3].
La battaglia di Zagrebelsky per spingere tutti a dare di più, ora! superando i vincoli della burocrazia e delle norme da seguire alla lettera, per quanto anche condivisibile, trova in realtà soluzioni troppo a buon mercato, ponendo, con eccessiva ingenuità, che i soggetti da lui citati abbiano a priori solo interessi convergenti.
Nel richiamare i cittadini all’adesione ad un nuovo e astratto patto sociale, Zagrebelsky avrebbe potuto ricordare che, in primo luogo, nel DPCM del 13 ottobre 2020 sono contenuti non solo divieti sanzionabili e prescrizioni obbligatorie, ma anche norme di condotta sconsigliate (invitare più persone ad una cena è rischioso, fermati a sei!), che inevitabilmente incidono non solo sul senso di ubbidienza, dovuto alle leggi, ma anche sul senso di responsabilità, dovuto alla collettività e costruito (?), modellato (?) in modo posticcio con l’introduzione di nuove abitudini di vita sociale.
Il DPCM del 13 ottobre avrebbe, allora, mescolato insieme proprio quei due termini – l’ubbidienza e la responsabilità – che secondo Zagrebelsky dovrebbero rimanere separati, rimandando ad ambiti di intervento differenti?
Vero è, come scritto sin dall’articolo di aprile, che le norme senza le abitudini soccombono, ma è altrettanto vero che le abitudini nascono pur sempre all’interno di istituzioni e sono ad esse funzionali. Inserita in un’azione educativa strutturata e finalizzata al mantenimento dello status quo, l’abitudine, per dirla con William James, «È, dunque, l’enorme volano della società, il suo più prezioso agente conservativo. Essa è ciò che tiene tutti noi entro i confini dell’ordine sociale (…), obbliga tutti noi a combattere la lotta per la sopravvivenza entro i limiti della nostra educazione»[4].
Zagrebelsky quindi – ed in secondo luogo – semplicemente guardandosi intorno avrebbe potuto riconoscere che il periodo attuale non consente poi tanta libertà di iniziativa, sia rispetto a riferimenti normativi, che spesso si sovrappongono, sia rispetto al carico burocratico, che svilisce ogni comportamento spontaneo.
Ecco, forse annotando queste postille a margine degli interventi del noto giurista, potremmo poi tornare a ricordare che rientra ancora tra i compiti dei governi democratici saper, di volta in volta, equilibrare due diverse modalità di controllo sociale che Bauman sintetizza così: «si possono mettere le persone in condizioni tali da impedirgli di fare cose indesiderate o metterle nelle condizioni favorevoli affinché facciano ciò che si desidera»[5].
Per alcuni siamo ben lontani dall’essere posti in tali condizioni favorevoli; per altri siamo già nel migliore dei mondi possibili, quello che preannuncia un vago futuro in cui andrà tutto bene, ancora.
…
La gente è felice; ottiene ciò che vuole, e non vuole mai ciò che non può ottenere. Sta bene; è al sicuro; non è mai malata; non ha paura della morte (…); è condizionata in tal modo che praticamente non può fare a meno di condursi come si deve[6].
[1] Gustavo Zagrebelsky, La pandemia e i decreti di Conte: se non basta obbedire, la Repubblica 29 aprile 2020, disponibile all’indirizzo https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2020/04/29/news/coronavirus_l_obbedienza_e_la_responsabilita_i_decreti_del_presidente_conte_governo_zagrebelsky-255221907/
[2] Ibidem.
[3] Gustavo Zagrebelsky, Un manifesto per la scuola. Serve un patto sociale, la Repubblica 16 ottobre 2020.
[4] William James, Le Leggi dell’Abitudine, Mimesis Minima/Volti, Milano 2019, p. 49.
[5] Zygmunt Bauman, La libertà, Castelvecchi Editore, Roma 2019, p. 14.
[6] Aldous Huxley, Il Mondo Nuovo – Ritorno al Mondo Nuovo, Oscar Moderni Mondadori, Milano 2019, pp. 178-179.
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a cura di Michele Lucivero
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