Agorà, la filosofia in piazza: Liberali da Hegel (parte 2), dopo Diego Fusaro Teodoro Custodero indirizza i suoi strali a Giorgio Agamben

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Di Teodoro Custodero* per Agorà, la filosofia in piazza. Dall’etica alla città

Il peso dell’eredità hegeliana continua a schiacciare le menti e le teorie di molti: in un articolo di qualche settimana fa ho cercato di dimostrare questo influsso nel pensiero teologico di Benedetto XVI e in quello filosofico del sedicente marxista nostrano Diego Fusaro. Oggi vorrei cercare di evidenziare un residuo hegeliano nella teoria teologico-politica di Giorgio Agamben.

Sin dai primi giorni della pandemia il filosofo romano ha tentato di declinare le reazioni politiche a quest’ultima con la categorie schmittiana - da lui riesumate a più riprese nei suoi scritti teoricamente più importanti - di Ausnahmezustand, cioè stato di eccezione.  Lo stato di eccezione è una particolare configurazione del potere politico che comporta la sospensione delle leggi vigenti al fine di superare un evento straordinario. Carl Schmitt giungeva anche a correlare strettamente la sovranità con la possibilità di decidere sullo stato di eccezione. Oggi per Agamben a causa del Covid «sono stati sospesi e violati diritti e garanzie costituzionali che non erano mai stati messi in questione, neppure durante le due guerre mondiali e il fascismo; e che non si tratti di una situazione temporanea è affermato con forza dagli stessi governanti, che non si stancano di ripetere che il virus non solo non è scomparso, ma può riapparire a ogni momento»[1]. Addirittura, si potrebbe parlare dell’invenzione di una pandemia - che in fin dei conti non ha fatto molti danni in termini di vite - per giustificare la messa in atto dello stato di eccezione.

Ebbene, a parere di chi scrive, dietro l’argomentazione di Agamben - e quindi di Schmitt - c’è il concetto di libertà che abbiamo ereditato da Hegel: il filosofo tedesco infatti scriveva all’inizio dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio che «la libertà c’è soltanto dove per me non c’è alcun’altra cosa che non sia io stesso»[2].

Questa idea di libertà è fondamentalmente negativa, in quanto ritiene la negazione dell’altro come condizione di libertà: il limite rappresentato dall’altro castra quindi il mio bisogno di libertà e la mia prassi emancipativa deve consistere nella rimozione di ogni ostacolo che si frappone tra me e la realizzazione di questo bisogno. Per Agamben ciò si traduce in una denuncia dello Stato in quanto entità limitante e castrante, laddove egli interpreta la sovranità statale come ostacolo alla/e libertà individuali. La/e libertà che invoca Agamben hanno un’estensione e una profondità pari a quelle del Geisthegeliano, vale a dire assolute e senza limiti: il limite, infatti, mortifica la potenza e la dignità speciale dell’interiorità dell’uomo, l’unico essere che è paradossalmente un’eccezione nell’ordine della natura.

Se i nostri maître à penser avessero letto meno Hegel e più Spinoza forse avrebbero con lui riconosciuto che «si dice libera quella cosa che esiste per sola necessità della sua natura e si determina da sé sola ad agire: invece si dice necessaria o, meglio, coatta, quella cosa che è condizionata ad esistere e ad agire da qualcos’altro, secondo una precisa e determinata ragione»[3] e quindi avrebbero intuito e sentito che la nostra libertà è assai più limitata di quanto sembri perché noi uomini agiamo e viviamo sempre condizionati da altro; avrebbero forse superato una forma di pensiero infantile e narcisistico che soffre della coscienza della sua dipendenza e della sua finitezza costitutiva; avrebbero forse teorizzato degli schemi interpretativi meno rigidi e più adulti che contemplano che nel mondo c’è più vita dell’uomo e dei suoi capricci. Forse.

[1] https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-stato-di-eccezione-e-stato-di-emergenza

[2] G.F.W. Hegel, La scienza della logica, UTET 2010, p. 54.

[3] B. Spinoza, Tutte le opere, Bompiani, Milano 2011, p. 1147.

Teodoro Custodero

  • Teodoro Custodero (Locorotondo 1980) insegna Filosofia e Storia nella provincia di Padova. Laureatosi nel 2006 all’Università di Bari con una tesi sui “Pensieri” di Pascal, relatore il prof. Roberto Finelli, si è poi abilitato all’insegnamento di Storia e Filosofia (A19) e sostegno presso la SSIS di Bari. Cultore e appassionato della materia fa parte dal 2016 della SFI vicentina e dal 2017 del comitato scientifico della Societas Spinozana. Tiene stabilmente seminari filosofici per la formazione dei docenti e ha al suo attivo 2 pubblicazioni: “Pensieri superflui sullo spirito ai tempi di Facebook”(prefazione di R. Finelli, Pietre Vive Editore, Bari 2015) e “Sul corpo. Con Schopenhauer sull’orlo del nulla”, (Diogene Filosofia,  Bologna 2017). I suoi temi di ricerca sono il rapporto mente-corpo nella storia della filosofia, lo studio della filosofia di Spinoza e gli influssi del pensiero di Schopenhauer e Nietzsche sulla psicoanalisi freudiana e junghiana.

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    a cura di Michele Lucivero

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