A tratti riemerge con forza e irruenza nel dibattito culturale, politico ed etico il tema della “famiglia”, associato molto spesso ad una serie di temi collaterali, quali l’educazione dei figli, le moderne tecniche di procreazione e fecondazione, i valori da trasmettere, il radicamento nella tradizione religiosa, tutti argomenti indissolubilmente legati alla storia e all’evoluzione di una delle più importanti istituzioni sociali, quale è, appunto, la famiglia.
Quando si parla di famiglia, tuttavia, sarebbe un grosso errore non definirla sempre e comunque come “famiglia borghese”, giacché essa sorge e si afferma come compagine sociale e modello istituzionale che evoca a sé un riconoscimento collettivo solo in un determinato momento storico, che coincide con l’affermazione in Europa della borghesia. Quando si parla di famiglia, infatti, non si parla di gens, quella specifica forma comunitaria che raccoglieva più gruppi sociali con lo stesso nomen gentilizio e che si riconosceva in un antenato comune; non si parla di curtis, vale a dire di un sistema culturale e sociale verticale molto ampio, caratterizzato da un soggetto che è al tempo stesso il centro dell’economia e della comunità, proprietario di mezzi e strumenti, ma anche del potere di vita e di morte su tutti quelli che afferiscono alla sua corte.
Quando si parla di famiglia, generalmente ci si riferisce alla famiglia nucleare moderna, nata in opposizione all’evoluzione del modello della curtis che ha condotto all’universo culturale e sociale dell’aristocrazia europea; ci si riferisce alla famiglia come un modello sociale ben definito caratterizzato da una figura paterna, una figura materna e necessariamente dei figli, giacché su quelli si esercita, da un lato, la patria potestà, dall’altro la fondamentale mansione educativa svolta della madre, nonché, congiuntamente, la funzione di trasmissione di un ethos, di un complesso di valori ben definiti e che consistono sostanzialmente nella sobrietà, nell’operosità, nella responsabilità, nell’onorabilità, nella disciplina e nella frugalità.
L’idea di famiglia non è dissociabile dall’affermazione di quella che la mentalità piccolo-borghese, un complesso valoriale e morale che non è esclusivamente protestante, ma ha profonde radici anche nel mondo cattolico e, ovviamente, ebraico, ma tuttavia è profondamente europeo e ha funzionato per diversi secoli come innesco per i processi di modernizzazione.
Verso la fine degli anni ’60, tuttavia, si è sollevato un enorme polverone negli ambienti culturali e filosofici occidentali, giacché da più parti si avanzava l’ipotesi sociologica, spesso ideologicamente confusa con un preciso programma politico, della morte della famiglia[1], ma era già da un po’ che una certa eco nietzscheana della morte di Dioera giunta a contaminare con ventate necrofile anche la religione, la politica, l’uomo stesso in un pullulare di filosofi e teologi che preconizzavano la morte di Dio così come la morte della religione, la morte dell’Occidente, la fine della politica e la fine della storia.
Dopo circa mezzo secolo dobbiamo constatare che la famiglia, così come Dio, la religione, la politica e l’Occidente sono vivi e vegeti e godono di buona salute e, forse, solo l’uomo in questo periodo non se la passa tanto bene, sebbene cerchi abilmente di destreggiarsi, fronteggiando una terribile pandemia che ha avuto, del resto, anche un forte impatto con il lockdown su quella che è la compagine della famiglia, che ha avuto modo di approfondire, forzatamente, i propri legami affettivi.
Non è un caso, del resto, e questa è la tesi che vorremmo avanzare in attesa di un serio e spregiudicato – nel senso di privo di pregiudizi – dibattito sul tema, che l’ipotesi mortifera vedesse associate la famiglia, la religione, la politica e l’Occidente, giacché la prima era, concretamente, la custode di un universo simbolico che riusciva a radicare nelle generazioni a venire quel patrimonio valoriale cui abbiamo fatto riferimento in modo da generare e consolidare un assetto politico ed economico profondamente radicato in una credenza religiosa. Era questa, sostanzialmente, la peculiarità dell’ethos piccolo-borghese[2], capace di plasmare la civiltà occidentale all’insegna della razionalizzazione, della moralizzazione sociale, il tutto tramite un indefesso e costante lavoro culturale svolto dalle famiglie e nelle famiglie, sempre più numerose e sempre più simili a sé stesse, fino a generare meccanismi perpetui di “riproduzione sociale e culturale”.
Ma veramente pensavamo di esserci sbarazzati della famiglia? Oggi, piuttosto, assistiamo ad una supervalutazione della famiglia perfino da parte di coloro i quali, pur non essendo borghesi, ma lavoratori dipendenti e autonomi, ambiscono a guadagnare per sé e per i figli quel patrimonio etico, vale a dire la rispettabilità, l’onorabilità, la responsabilità, che la borghesia aveva annesso al ruolo della famiglia, nell’illusione di poter spezzare i meccanismi perpetui dell’immobilismo e della riproduzione sociale.
Oggi la supervalutazione della famiglia borghese emerge, e con una certa enfasi politica, anche come modello di riferimento da parte di quelle categorie di persone che in passato hanno combattuto contro le pastoie della famiglia, giudicata molto spesso come una istituzione repressiva perché impediva la libera espressione del soggetti. È il caso dell’omosessualità, ad esempio, soffocata dalla famiglia borghese, ma che adesso richiede di essere riconosciuta proprio all’interno di un legame che è matrimoniale, coniugale e familiare e che, proprio come per la famiglia borghese, pretende di allevare dei figli ed educarli all’accettazione della diversità. Si tratta di una grande rivoluzione culturale, ormai diffusamente attuale, che dimostra ancora una volta come la storia sia mossa da una sottile ironia, che capovolge costantemente ogni paradigma culturale, sociale e politico fino a rasentare una ormai costante sensazione di irrazionalità.
[1] Cfr. D. Cooper, La morte della famiglia, Einaudi, Torino 1972.
[2] Cfr. B. Berger, P, Berger, In difesa della famiglia borghese, il Mulino, Bologna 1984.
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a cura di Michele Lucivero
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