Vicentino Federico Zambrini, guidava la filiale di Busa di Vigonza della Banca Popolare di Vicenza. Denunciati a piede libero altri due imprenditori della città e di Costabissara. Omise i controlli, indagato Gianni Mion. Dal 2013 l’Audit era a conoscenza dei conti sospetti dei calabresi
La criminalità organizzata entrava in banca. Con la complicità di un direttore di filiale e di un impiegato proni al volere di alcuni calabresi ritenuti vicini alle cosche della ‘ndrangheta, veniva riciclato il danaro ottenuto grazie alle false fatture, che veniva reinvestito anche per comprare droga. È lo spaccato, inquietante, che emerge dalla maxinchiesta della Direzione investigativa antimafia di Padova, che all’alba di ieri ha arrestato 16 persone in virtù di un’ordinanza di custodia firmata dal giudice Mariella Fino su richiesta del pubblico ministero Benedetto Roberti.
Fra di loro anche Federico Zambrini, 49 anni, residente a Piovene in via Santa Eurosia: direttore della filiale di Busa di Vigonza, nel Padovano, della Popolare di Vicenza, è ai domiciliari. È accusato di aver fatto parte di un’associazione per delinquere finalizzata all’utilizzo di fatture false e di riciclaggio e auto riciclaggio. Con lui, sono indagati altri vicentini, fra cui Andrea Garbin, vicentino di 55 anni, titolare della “G.A. immobiliare” di Padova, e suo nipote Marco Nardon, 38, di Costabissara, accusati di evasione fiscale. E poi il cittadino albanese Gentjan Bilani, 40 anni, di Camisano, e Gianni Mion, 74, che in realtà è padovano ma che è stato presidente della BpVi dopo l’era Zonin, durante la gestione Atlante, a cui viene contestata la responsabilità amministrativa di non avere controllato quello che avveniva a Vigonza.
L’INDAGINE. L’inchiesta della Dia era scattata dopo un’operazione dei colleghi di Trieste che avevano scoperto come gli affiliati di alcune ‘ndrine, le cosche della Calabria, avessero avviato una feconda attività di spaccio in Veneto e in Friuli Venezia Giulia. Fra gli altri, erano emersi i nomi dei calabresi Antonio Bartucca, 49, e Giovanni Spadafora, 45, trapiantati in Veneto, arrestati di recente in una vastissima indagine della procura di Catanzaro, denominata Stige, contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta al Nord. I detective comandati dal maggiore Graziano Ghinelli avevano scoperto che Bartucca frequentasse con assiduità la filiale della BpVi e si incontrasse con Zambrini, che ne era direttore dal marzo 2014.
ùLA BANCA. Il ruolo della filiale per gli inquirenti è fondamentale, perché consentiva alla banda di riciclare senza rischi apparenti i guadagni delle false fatture. Bartucca, assieme ad alcuni complici diretti, aveva coinvolto nel traffico i titolari di piccole società con le quali la sua impresa edile si scambiava delle fatture per importi non elevati. Si trattava, per la procura, di fatture per operazioni inesistenti, le cui somme finivano in alcuni conti aperti nella BpVi e che poi transitavano nelle carte prepagate formalmente intestate ai muratori di Bartucca, ma in realtà usate dal loro titolare, che così aveva una dispensa in nero da usare come voleva.
A LIBRO PAGA. Fra l’altro, quelle somme sarebbero servite a pagare Zambrini, che chiudeva un occhio, a volte due, su quelle operazioni illecite. In qualche caso, era lui a proporre la soluzione più adatta per gli scopi illeciti della banda. Il vice del direttore, Longone, pure ai domiciliari, ha spiegato che Bartucca, in un’occasione, gli aveva confidato: «Ricordati che Federico prende sempre la sua parte». «Il suo ruolo è quello di consulente finanziario del sodalizio criminale in tema di operazioni bancarie – scrive il giudice parlando del vicentino -. È elemento essenziale e strategico per il conseguimento dei fini illeciti». E questo emerge anche dalle intercettazioni telefoniche: il direttore consentiva al calabrese «una operatività bancaria del tutto anomala», lo informava quando arrivavano bonifici sui conti di altri, e dopo una perquisizione in banca sistema le carte ex post. Gli ha concesso prelievi senza garanzie, e gli ha venduto azioni BpVi per 61 mila euro. Zambrini, interrogato, ha ammesso, giustificandosi con il fatto che i calabresi lo minacciavano. In realtà però non li ha mai denunciati né ha segnalato le operazioni antiriciclaggio com’era suo dovere. Ha detto di aver informato alcuni colleghi, che non hanno mosso foglia.
I SEQUESTRI. Ieri la Dia ha sequestrato beni per 800 mila euro, fra case, moto e auto
di Diego Neri, da Il Giornale di Vicenza
Fra gli indagati nella maxinchiesta della Dia c’è anche, a sorpresa, quello di Gianni Mion, il manager padovano di 74 anni che era stato chiamato la capezzale della Banca popolare di Vicenza nell’estate del 2016 per risollevare le sorti di una barca che stava affondando. La procura gli contesta la responsabilità amministrativa in relazione ai fatti di riciclaggio che sarebbero stati commessi all’interno della filiale di BpVi di Busa di Vigonza. Certo, si tratta di un’iscrizione come atto dovuto, perchè nel periodo di reggenza Mion aveva davvero altro a cui pensare che controllare le presunte malefatte del direttore e dell’addetto di quella filiale. Ma da quello che emerge dalle carte dell’indagine, e in particolare dalle quasi 400 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice Mariella Fino nelle scorse settimane, è l’istituto di via Battaglione Framarin a risultare pesantemente inadempiente rispetto al suo ruolo; e per questo il giudice ha disposto il sequestro – fra BpVi e i due dipendenti Zambrini e Longone – di 187 mila euro.Perchè? Fin dal settembre 2013, e quindi prima che Zambrini assumesse l’incarico di direttore di filiale (lo farà a marzo 2014), «è documentalmente provato – scrive il giudice – che Bartucca fosse noto a BpVi quale soggetto autore di movimentazioni finanziarie sospette. È altresì incontestabile che le operazioni all’epoca censurate da parte dell’Audit fossero avvenute anche nell’interesse e a vantaggio dell’istituto di credito, atteso che permettevano alla banca di lucrarne le commissioni e di fidelizzare il cliente Bartucca». Non solo: «È altrettanto incontestabile che furono i funzionari e i dipendenti all’epoca in servizio presso la filiale di Busa di Vigonza ad aver consentito al Bartucca l’esecuzione delle operazioni anomale». Poi arrivò Zambrini: «E nel periodo fra l’ottobre 2013 e il 10 marzo 2016, quando fu perquisita la filiale, non risulta attività di ispezione e di vigilanza da parte dell’Audit nei confronti di Bertucca». E nemmeno dopo.«Risulta, pertanto, che per circa due anni Bertucca sia stato un cliente privilegiato, al quale sono state consentite e per il quale sono state effettuate transazioni con denari di provenienza delittuosa, con vantaggio per la banca. Il tutto senza alcun controllo, senza segnalazioni, ma anzi con la complicità del direttore di filiale e del suo collaboratore e nella connivenza di tutti gli altri dipendenti; il che implica – conclude il giudice -, in modo plateale, l’assoluta mancanza di strumenti di vigilanza e di protocolli per la efficace prevenzione della commissione di “delitti a mezzo banca” quali quelli posti in essere dal sodalizio criminale».
D.N., da Il Giornale di Vicenza