Michelangelo Zorzi, nell’opera “Vicenza illustre”, annovera Alessandrio Massaria «fra i più acuti e begli ingegni, anzi tra gli ornamenti più luminosi della nostra Patria (Vicenza)». Massaria fu una tipica figura vicentina rinascimentale: filosofo e naturalista, cultore della medicina e delle lettere, caritatevole e fastoso: insomma, un uomo universale.
Il De peste ritrae Massaria mentre con le mani inguantate, il capo avvolto da veli profumati, masticando la sua pasticca odorosa, gira per le vie vicentine desolate
dalla pestilenza. Alcune note biografiche sono d’obbligo. Alessandro Massaria nasce a Vicenza nel 1524 da un’antica famiglia con illustri antenati. Studia prima a Vicenza “umane lettere, greche e latine” sotto la guida di Jacopo Grifolo, e poi a Padova con Lazzaro Bonamico. Decide quindi di darsi alla professione di medico e si addottora nel Ginnasio Patavino, dove ha per maestri nell’arte medica Falloppio in anatomia, Oddi in Medicina Teorica e il vicentino Fracanzano in Medicina Pratica. Torna a Vicenza e inizia con valore la professione di medico. Con Conte da Monte (“Montano vicentino”) e Fabio Pace, suo nipote e discepolo, promuove e istituisce nel 1563 il “venerabile” Collegio dei Medici di Vicenza, al fine di distinguere i nobili e retti seguaci di Esculapio, che dissertavano in la- tino e citavano gli antichi greci in testo originale, da concorrenti ciarlatani di basso rango, quali gli speziali e quelli che curavano «cum ferro e igne», precursori degli odierni chirurghi, come era successo a Londra nel 1518 con la fondazione del Royal College of Physicians da parte di Thomas Linacre. Nel 1555 figura, insieme ad Andrea Palladio, fra i promotori di quell’Accademia che il 1° marzo 1556 chiamarono Olimpica, firmandone lo statuto. Nel 1557 traduce e presenta in Accademia la commedia di Terenzio Andria, successivamente un’altra commedia di Terenzio, L’Eunuco, e nel 1575 anche una sua commedia, intitolata Alessandro. Sempre in Accademia fonda una scuola Anatomica, dando dimostrazioni di Notomia. Raggiunge la sua massima notorietà nel 1579 con la pubblicazione del De peste libri duo, dove racconta le vicende e gli aspetti sanitari-scientifici della peste bubbonica che nel 1576, dopo aver colpito Trento, Treviso, Padova, Mantova e Milano e decimato Venezia, era arrivata anche a Vicenza, agli inizi negata o non riconosciuta come era avvenuto a Venezia. Risulta che a Vicenza, a confronto con altre città venete, si fosse riusciti a contenere notevolmente il numero dei morti. La storia raccontata da Massaria nel De peste (e letta nei passi più significativi da Roberto Cuppone) è anche quella del suo impegno nel curare gli ammalati, isolare i soggetti sani, vigilare sulle misure igieniche. Fra l’altro eseguì la prima autopsia di un parente morto appestato. Gli abitanti di Vicenza, trentamila prima della peste, si ridussero di 9.816 unità per i decessi e per la fuga in campagna. Dei malati, 538 erano accampati in baracche nel Campo Marzio e 440 nei lazzaretti. L’autorità pubblica provvedeva al sostentamento di ben 5.000 persone. Il De Peste rivela come Massaria non fosse estraneo al movimento di rifondazione della medicina. Prescriveva di spruzzare la stanza d’acqua e aceto, infiorare i letti, masticare lentamente una pastiglia odorosa e puntò il dito sull’igiene. Introdusse il concetto di infezione da contagio, condividendo il pensiero di Girolamo Fracastoro, che alcuni decenni prima aveva parlato, nel suo libro De contagione et contagiosis morbis, di seminaria, corpuscoli minutissimi e animati, responsabili della diffusione e trasmissione della peste bubbonica attraverso contatto, diretto o indiretto, al pari dell’attuale coronavirus. Massaria, riallacciandosi alle innovative teorie di Fracastoro, afferma che tra le cause della peste vi è anche il contagio degli uomini e delle cose e asserisce che è l’aria a veicolare il contagio, permettendo così la trasmissione di particelle patogene, proprio come succede nella diffusione del coronavirus. Ci sarebbero voluti più di tre secoli per identificare, nel 1894, la pasteurella quale agente causale infettivo della peste bubbonica. E in questo Massaria appare un “novatore”. Come considerare altrimenti le sue convinzioni sui sintomi, che è vano curare, perché i sintomi non sono la malattia ma la seguono, a meno che non richiedano un particolare trattamento in quanto causano una complicazione o indeboliscono l’infermo? Ed è da novatore, e non certo da conservatore, la sua pratica di far ricorso a medicamenti semplici e di sostenere le forze dei malati con una buona alimentazione, invece di sottoporli a purghe o salassi: «In primis danda est omnis opera, ut corpus optime nutriatur». Scredita le pratiche superstiziose, il ricorso ad amuleti e a misteriose cure preventive contro la peste. Non è forse innovativa, anzi rivoluzionaria la sua sentenza «Ratione et experientia medicina fiat»? L’abnegazione e lo spirito di carità dimostrato da Massaria durante tutta l’epidemia gli valsero una tale fama da essere chiamato a esercitare con successo la professione medica a Venezia nel 1578, abbandonando “Teatro, Patria e Liceo”. E Venezia volle premiare un così grande uomo, perché tale stima spianò la strada dalla libera professione all’insegnamento universitario.
Resasi vacante la prima Cattedra di Medicina Pratica con il trasferimento di Girolamo Mercuriale all’ateneo di Bologna, il Senato Veneto nel 1587 chiamò a ricoprirla Alessandro Massaria, con lo stipendio di ben 800 fiorini, preferendolo a Girolamo Capodivacca, che teneva la seconda Cattedra di Medicina Pratica. Chissà se su questa decisione abbia pesato l’errore fatto da Mercuriale e Capodivacca in occasione dello scoppio della peste in Venezia nel 1575, quando questi “gran dottori”, chiamati a consulto, mancarono la diagnosi, sottovalutando la gravità del fenomeno morboso e così rendendosi responsabili del ritardo nelle misure preventive, con gli effetti catastrofici che causarono 40.000 morti.
Massaria tenne la cattedra per undici anni, fino alla morte, con tale prestigio da meritare l’aumento dell’onorario fino a mille fiorini (lo stesso stipendio che Galileo avrebbe ottenuto dopo l’invenzione del telescopio e la scoperta dei satelliti medicei di Giove). Nella prolusione inaugurale presso il Ginnasio patavino, Massaria classifica la scuola medica in tre categorie: l’insegnamento classico dei seguaci di Galeno, che dichiara orgogliosamente di seguire; la tradizione araba che si ispira ad Avicenna; le recenti dottrine, che non si identificano con nessuna delle antiche. Continuò l’uso, avviato da Giovanni da Monte nel 1543, di recarsi quotidianamente, con grande seguito di studenti, all’ospedale S. Francesco a visitare gli infermi, discutendo il caso e introducendo il concetto di lezione clinica, che è alla base dell’attuale insegnamento in Medicina. Massaria considerava il malato al centro dell’attenzione del medico, con le sue sofferenze e individualità, e affermava che non i libri ma i malati sono i veri maestri. Molte sono le opere importanti del Massa- ria, oltre al De peste, fra cui il Liber respon- sorum et consultationum medicinalium, e Practica medica. Nelle Duae disputationes, quarum prima mittendi sanguinem, altera de purgatione in principio morborum mette in discussione due cardini delle terapie adottate per secoli, ovvero il salasso e le purghe. Massaria andava arricchendosi e la sua bella casa di Padova, lussuosamente arredata, era aperta a notabili forestieri e a dotti di ogni provenienza. Amava condividere con gli amici la sua cantina ben fornita; non mancava però di essere generoso con i poveri, dispensando cento pani ogni venerdì. Il venerdì santo e alla vigilia di Natale tratteneva dodici poveri ad un lauto pranzo, congedandoli perfino con una generosa elemosina. Nel 1596 accadde un episodio che sottolinea il suo rigore. Incontrato per via uno studente, che lo aveva disturbato durante le lezioni, lo invitò in casa e lo prese a legnate, quale esempio di come si deve correggere la petulanza degli scolari insolenti. Morì improvvisamente il 18 ottobre 1598 e venne sepolto nella basilica di Sant’Antonio, senza lapide per incuria dei suoi discendenti e dei colleghi.
A Vicenza il suo ricordo fu affidato a una statua nel Teatro Olimpico, nel 1585, nel colonnato sopra la gradinata, e a una lapide murata nella chiesa dei Servi di Maria, nel 1677, che purtroppo andò distrutta e fu rifatta nell’antico stile dallo scultore Pietro Morseletto. Alessandro Massaria appartiene alla gloriosa tradizione dei medici vicentini, che erano ad un tempo scienziati e umanisti: Antonio Fracanzano, Domenico Thiene, Lorenzo Pezzotti, Giorgio Pototschnig. Il miglior modo di rendere omaggio a questo illustre concittadino e Accademico Olimpico è leggere le sue opere, fra le quali questa prima traduzione in lingua moderna del De peste.
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Da Storie Vicentine n. 1 2020
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Fonte: Alessandro Massaria: un grande innovatore nel campo della prevenzione , L’altra Vicenza