Spett.le Biblioteca Bertoliana, C.a. Pres. Architetto Chiara Visentin, c.c. Sindaco di Vicenza Avv. Francesco Rucco
prendiamo nota della presentazione presso la Biblioteca Bertoliana di Vicenza, alla sua presenza, ieri, 16 aprile, del libro “Romanzo impopolare” firmato da Ario Gervasutti, direttore negli anni bui della BPVi del Giornale di Vicenza, di proprietà di Confindustria Vicenza, il cui presidente e referente per la gestione del quotidiano, Giuseppe Zigliotto, è ora imputato insieme a Gianni Zonin, ex precedente della ora defunta banca, e da Cristiano Gatti di cui apprendiamo dal commento di Paolo Coltro su Vvox, quindi terzo rispetto a VicenzaPiù, che io dirigo, che il collega “laureato in economia che non ha mai scritto di economia… scrive amabilmente sul Corsera delle colpe dell’Inter…”.
Dal commento del collega Coltro, che Le alleghiamo (in fondo*) per la sua documentata cronaca dell’evento, apprendiamo anche che il moderatore della presentazione era Antonio Di Lorenzo, anche lui ex giornalista del GdV, esperto di cultura e non di economia e finanza oltre che collaboratore dell’ex direttore Gervasutti, e, soprattutto, che lei , presidente, “nell’introduzione ha voluto ricordare come la storica istituzione non sia podio per opere che parlino di «cronaca», bensì di «storia» – insomma, le vicende della banca, sotto processo penale e col vapore ancora fumante di risparmi bruciati, non è attualità, è già storia”.
Ciò premesso siamo convinti, presidente, che anche quello di ieri sia stato un contributo utile a ipotizzare, mentre è ancora tempo di cronaca, qualche ipotesi storica, anche se molto parziale, da quello che leggiamo nel commento e, soprattutto, da quello che è scritto nel libro (romanzo impopolare o tragedia di un popolo?).
Lo scandalo BpVi secondo Gervasutti: «”ruoli”, non colpe»
L’ex direttore del GdV firma un «Romanzo impopolare» per sfidare la sindrome del «capro espiatorio». Zonin? «Un chierichetto di Bankitalia»
«Così percossa, attonita la terra al nunzio sta». Non è ancora il cinque maggio, ma l’annuncio è quello della pubblicazione di “Romanzo impopolare”, che è lì con le sue 330 pagine, il suo formato manuale 24 centimetri per 17, i suoi 650 grammi di carta sul crac della Banca Popolare di Vicenza. Il libro è nuovo, chiuso, non si è ancora letto, ma ce ne parlano gli autori. E si è rimasti percossi ed attoniti nell’ascoltarli, l’altro ieri, ospiti della Biblioteca Bertoliana di Vicenza (la cui presidente, Chiara Visentin, nell’introduzione ha voluto ricordare come la storica istituzione non sia podio per opere che parlino di «cronaca», bensì di «storia» – insomma, le vicende della banca, sotto processo penale e col vapore ancora fumante di risparmi bruciati, non è attualità, è già storia).
«Abbiamo voluto raccontare una storia», dicono i co-autori. Lo storytelling, in verità una tragedia, racconta delle grandezze e miserie di una banca sparita. Dodici miliardi di ricchezza veneta – meglio, di risparmio – assieme a Veneto Banca, perduti irrimediabilmente. Parlano Ario Gervasutti e Cristiano Gatti, gli autori in tandem. Il primo ex direttore del Giornale di Vicenza dal 2009 al 2016, annus horribilis per lui come per PopVi, licenziato dalla mattina alla mattina con un sorriso ad arte dall’Associazione Industriali proprietaria del quotidiano. Cristiano Gatti, laureato in economia che non ha mai scritto di economia, è di Bergamo, quindi vergine e lontano, ideale per la giusta distanza. Scrive amabilmente sul Corsera delle colpe dell’Inter, ma in questo libro la parola «colpa» è abolita, per principio.
Prima percossa: «troppo facile dare addosso al capro espiatorio designato», cioè Gianni Zonin. Ti spiazza, l’incipit controcorrente. «Non tocca a noi giornalisti cercare i colpevoli»: compito della magistratura, voglia della piazza, sentimento bruto da cui star lontani. Meglio l’analisi, la ricerca sine ira ac studio, il distacco dalle passioni. E allora a capofitto nelle carte giudiziarie, i verbali, le testimonianze, le intercettazioni. «Abbiamo consultato due milioni di pagine di documenti»: a parte la fatica di contarli, un’iperbole impossibile. Calcolano gli statistici del ramo lettura: se uno leggesse sempre, da 5 a 80 anni, 75 anni filati in tutta la vita riuscirebbe a leggere 54.788 libri di 300 pagine l’uno. A farla grande, dunque, in una vita più di 16 milioni di pagine. Diviso 75 fa 213 mila pagine l’anno. Vabbè, erano in due e pure stakanovisti, concediamo mezzo milione di pagine. Però lette, selezionate, rilette e ci è voluto anche il tempo di scrivere, «cinque stesure in totale». Come hanno fatto, con ‘sti due milioni di fogli sotto gli occhi? Li aspettiamo sul Guinness dei primati.
Ma questi sono numeri, stupidi in quanto tali. L’essenza del libro – dice Gervasutti – «è tutto tranne che cercare responsabilità. Ci siamo ben guardati dal dare un giudizio». Lui preferisce la parola «ruoli». Aggiunge il moderatore, Antonio Di Lorenzo: «non sono tipi che rischiano una querela così». Gli crediamo ciecamente. I «ruoli» certosinamente elencati son di tutti, ma proprio tutti: in primis quelli dei risparmiatori, questi gonzi che si sono fidati, e dovevano starci attenti, dovevano conoscere un po’ di finanza, e che diamine; poi dei funzionari della banca, piccoli e d’alto livello, ingranaggi del meccanismo infernale; poi del cda che sa sempre le cose per ultimo, e con ritardo; poi del presidente – tale Zonin – che un sacco di cose proprio non le sa. Semmai, il suo errore è stato di «prestare troppo a famiglie e imprese». Non solo, ma soffriva di «sudditanza» verso Bankitalia. «Come un chierichetto», dice Gatti. Un chierichetto che assumeva i funzionari romani.
E infatti in lista c’è la banca centrale con i suoi controlli inefficaci e i suoi sogni di fare della Bpvi una banca “aggregante” (leggi: anti-economica e aggressiva fusione con Veneto Banca, ma per Gatti la cosa non andò in porto solo perché qualcuno – forse Consoli? – non ha voluto mollare il potere). Ci sono i manager della dissoluzione, fra cui l’ex direttore generale Sorato a cui gli autori legano la storia dei fondi lussemburghesi, «spariti dall’inchiesta giudiziaria» (stoccata al procuratore vicentino Cappelleri?). C’è il governo Renzi col suo famoso decreto, che ha messo fine a quasi tutte le popolari italiane. C’è la Bce che ha fatto funzionare la ghigliottina. E ancora, all’ossessione: «non vogliamo incolpare nessuno». Così si perde il termine «responsabilità», soprattutto etica: un terreno insondato, perché si preferisce comporre il puzzle dei ruoli, così la responsabilità si diluisce in mille rivoli, come fossero compartimenti stagni. C’era un mare di azioni «baciate»? «Eh, ogni funzionario ne faceva un po’ senza dirlo agli altri».
Stupisce, nella presentazione, il riferimento blando al disastro: «qualche errore sicuramente c’è stato», «qualcosa non ha funzionato». Il libro è ancora chiuso, ma a sentirli, queste pagine sembrano la fotocopia della difesa di Gianni Zonin. Reagisce Gatti: «se a Vicenza dicono che il libro assolve Zonin, io non me ne sono accorto». Non se ne sarà accorto neppure Gervasutti, che però da nipotino di Montanelli quale si considera, sa bene di andare controcorrente. E infatti annusa l’incredulità vicentina, naturalmente pregiudiziale: «ci daranno torto a prescindere».
Eh, il pregiudizio: si annida dappertutto. Anche nell’informazione che ha accompagnato l’odissea senza ritorno della Banca Popolare: «alcuni attaccano in maniera pregiudiziale». Lui no, in quegli anni caldi e decisivi alla direzione del Giornale di Vicenza, padrona Assindustria che forniva le menti migliori al board della banca. Arriva una stupefacente lezione di giornalismo: «noi riportiamo tra virgolette l’opinione della banca, questo è il nostro mestiere. Non possiamo avere strumenti di controllo». E pensare, verificare, pungolare, contraddire? Sia mai. Il giornalista è un registratore, tutt’al più può regolare il volume. Come sia andata in questa storia la narrazione del Giornale di Vicenza non occorre dire, basta andare a ritroso a rileggere, c’è Internet.
Siamo rimasti percossi e attoniti, e bastano gli aggettivi di Manzoni. Dice Gervasutti: «fino a oggi è stato scritto solo il 10 per cento di questa storia, il resto è nel libro». Perché naturalmente nessuno è riuscito a leggere due milioni di pagine. «Il nostro è un contributo alla verità»: e sarà il benvenuto, anche se si diffonde il profumo di camomilla. Ma, cari autori, un po’ di indignazione, poca poca? Gatti: «C’è, ad ogni pagina». Mah, non sembrava. A meno che l’indignazione non abbia preso strade diverse da quelle naturali.
Il libro magari sarà bellissimo e istruttivo. Basta aver voglia di aprirlo, dopo questa presentazione.