Hanno venduto a 39,50 euro il 13 febbraio 2015 alla banca che poi ha traferito le azioni (900 mila in tutto) a Jp Morgan per ripagare un pacchetto di mutui vitalizi. Le sanzioni Consob, la policy seguita dalla banca
C’è anche l’ex sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo tra gli ultimi 1.570 fortunati soci che sono riusciti a liquidare le proprie azioni Veneto Banca a 39,50 euro. In extremis, prima del blocco del fondo azioni, prima della svalutazione di aprile 2015 a 30,50. Prima del recesso di dicembre a 7,30. Prima dell’azzeramento dei titoli a 0,10 centesimi.
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Le vendite datano 13 febbraio 2015. Sono 900 mila azioni divise tutte in lotti da meno di mille pezzi ciascuno. Ma ci sono anche vendite doppie che sommate arrivano quasi a 1.800 azioni. Si parla di lotti inferiori ai 40 mila euro di controvalore. Ma c’è chi ha venduto anche solo 7 azioni.
Stando all’elenco inedito riprodotto nelle pagine che seguono alcuni sono riusciti a liquidare completamente l’investimento: a maggio 2016, prima dell’ingresso di Atlante non risultano più a libro soci. Altri invece sono rimasti ma hanno liquidato parte dell’investito.
Era il 10 febbraio 2015. Il Cda di Veneto Banca – allora il presidente era Francesco Favotto, con Vincenzo Consoli direttore – approvava l’acquisizione di un pacchetto di prestiti vitalizi ipotecari da Jp Morgan che a sua volta si impegnava a sottoscrivere 900 mila azioni della banca. Nel verbale del 13 gennaio 2015 si leggeva già che il Cda aveva dato «ampio mandato alla direzione generale (Consoli, ndr) di predisporre e firmare tutti gli atti e i contratti necessari». Il collegio sindacale non vede bene l’operazione e sottolinea «debolezze e criticità». A dicembre 2015 sull’affare con la banca Usa verrà accantonato a bilancio un onere del credito di 4,5 milioni di cui 3,8 milioni solo di deteriorati. Jp Morgan intanto diventa quarto socio della banca prima delle Generali.
Quel pacchetto scambiato conteneva 1.100 mutui vitalizi (prestiti concessi agli over 65 a fronte di un’ipoteca) per un controvalore di 205,5 milioni: 170 pagati da Veneto Banca in contanti e 35,5 milioni con il trasferimento di 900 mila titoli. Ma di chi erano quelle azioni? I nomi erano sconosciuti. Ora non più. L’ex sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo ha liquidato 750 azioni ma a portafoglio gliene sono rimaste 500: «Ho chiesto di vendere oltre due anni fa l’intero pacchetto ma mi hanno detto: “Adesso si può arrivare fino a qui, il resto dopo”. Visto quello che è successo, posso solo che ringraziare» spiega. A vendere c’è anche Denise Cimolai, consigliere della Nice: ne ha vendute 907, conservandone 119, un cinese di nome Hu Lili, e anche un Mario Polegato di Crocetta del Montello. Ma non è mr. Geox bensì un suo omonimo. Ci sono Unione Fiduciaria Spa, società fiduciaria e di servizi alle Popolari (750 azioni), la trevigiana Agorest Srl ed Esedra Srl di Vedelago e alcune società in liquidazione come Tecnica Servizi Srl o Safla Spa, di Conegliano. C’è pure la milanese Yellow Tax multiservice per le richieste di taxi nella City: ha venduto 497 azioni.
Di fatto quella fu l’ultima vendita. Pochi giorni prima il 6 febbraio, Jp Morgan concludeva un’altra operazione relativa al dossier Veneto Banca: forniva le garanzie per un finanziamento da 29 milioni a un veicolo irlandese che avrebbe dovuto acquisire da Montebelluna il 10% di Bim. Il veicolo (Duet) faceva parte della cordata, stoppata a giugno dalla Bce, che avrebbe riportato Bim in mani torinesi. Dopo pochi giorni, il 17 febbraio 2015, la Gdf irrompeva a Montebelluna: finivano indagati Consoli e l’ex presidente Flavio Trinca per ostacolo alla vigilanza. Il 27 aprile 2015, due mesi dopo, Consob avviava una verifica ispettiva, proprio sulla cessione dei crediti conclusa con Jp Morgan. L’ispezione si è chiusa il 18 dicembre 2015. Gli esiti sono stati resi noti a Veneto banca a maggio 2016 e sono arrivate le prime sanzioni. Siamo già nella fase delle contestazioni che si dovrebbero concludere nel 2017. Si parla di multe da 5 mila a 500 mila euro sulle singole condotte per «violazione della disciplina in materia di comunicazioni al pubblico». Ma si stanno ricostruendo gli ordini di vendita ed essendo questa l’ultima uscita di massa, alcuni soci hanno posto il dubbio. Più di qualcuno si è già rivolto ai legali per l’ipotizzato scavalcamento.
La policy della Banca. Il primo a rivelare pochi dettagli dell’operazione era stato Cristiano Carrus il 10 dicembre 2015. In una conferenza stampa aveva accennato a una vendita tra gennaio e febbraio 2015 con una «controparte internazionale» che ha «esaudito alcune vendite di clienti che erano in lista con importi delimitati». Ci sono voluti alcuni mesi per arrivare a Jp Morgan, e fummo i primi a darne notizia. Carrus già allora aveva anticipato che quella compravendita era «oggetto di controlli Consob» ma aggiungeva: «Si tratta di un’operazione regolare. Tutti i soci erano in coda, nessuno è stato bypassato». A guardare la lista dei piccoli tagli e il grande numero di soci liquidati, con molti che nonostante la vendita sono comunque rimasti azionisti, viene da chiedersi quale criterio sia stato applicato. Stando a una qualificata fonte che apparteneva al Cda di allora, a febbraio 2015 la banca seguì una policy interna condivisa. Questa policy era allineata, spiega la nostra fonte, all’identità della banca e quindi alla sua natura «popolare». Significa, spiega la fonte, «partire dal più basso e cercare di esaudire la quantità maggiore di azionisti». Il meccanismo di compravendita aveva già dato nel 2014 segni di intoppo. E la via scelta fu: partire dalle richieste di liquidazione più basse -da qui gli importi di 7, 20, 35 azioni che significa piccoli azionisti – per poter far uscire dalla compagine il numero più alto possibile di soci. Il tetto l’aveva definito Jp Morgan con quell’impegno a rilevare 900 mila azioni, non una di più. E da lì si partì. Dunque nessuno sopra quota mille azioni, il massimo è infatti 990. Salvo eccezioni.
Quantità e cronologia. Nella lista soci che abbiamo visionato risultano anche vendite doppie su singole posizioni di soci. In caso di analoghe quantità potrebbe trattarsi, spiega anche la nostra fonte, di un semplice errore di battitura a libro soci. Ci sono però nominativi con doppie vendite e importi diversi. I casi di doppioni sono circa una ventina, e se si sommano le cifre si sfora quella soglia di mille. Qualche furbetto potrebbe esserci stato, in una qualche filiale. Lo possiamo solo supporre, ma il dubbio lo insinua anche la nostra fonte. Se così fosse stato, sarebbe venuto meno quel criterio da policy. Ma c’è un nodo forse ancora più importante: il criterio della quantità (piccola) ha superato in questo caso quello della temporalità. Quindi non fu rispettato l’ordine cronologico delle richieste di vendita.
Eppure il timing è stato fondamentale per alcuni nomi big le cui uscite di scena hanno fatto infuriare chi nel bail-in delle azioni ci è rimasto invece intrappolato. Il colpo fortunato l’ha fatto Bruno Vespa a luglio 2013. Ha venduto anche Cattolica Assicurazioni ad agosto 2014 incassando 67 milioni di euro. Tra i fortunati anche la Sg Ambient del Gruppo Grafica Veneta di Fabio Franceschi, Bim Fiduciaria, Giampaolo Buziol imprenditore della marca Replay. Tra 2014 e 2015 si sommano oltre 7.600 vendite. Vendono anche Fineco e Deutsche Bank. La prima 5 azioni, la seconda solo una.
di Eleonora Vallin, da Il Mattino di Padova