Amianto: Ministero della Difesa condannato a risarcire la vedova di Federico Tisato, motorista vicentino

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Federico Tisato Amianto
Federico Tisato Amianto

Il caso delle morti causate dall’amianto torna d’attualità dopo che il Tribunale di Vicenza ha condannato il Ministero della Difesa al riconoscimento a vittima del dovere del motorista navale vicentino, Federico Tisato. L’uomo è deceduto all’età di 68 anni per un mesotelioma pleurico contratto sulle navi della Marina Militare dove ha prestato servizio tra il 1965 e il 1971.

Alla vedova, la moglie Loretta, il Ministero dell’Interno dovrà concedere 400mila euro di arretrati più assegni vitalizi per circa 1900 euro al mese. Tisato, morto il 24 luglio 2016, era impiegato sulle navi nel periodo in cui, per ammissione della stessa Marina: “l’amianto era comunemente impiegato nella costruzione e non sottoposto a restrizioni”.

L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, che ha seguito la famiglia della vittima in questo procedimento giudiziario, ha dimostrato che il motorista è stato a contatto con l’amianto dei motori, compresi quelli diesel, con diretta e continuativa manipolazione e lavorazione di materiali contenenti la fibra killer, così come per la contaminazione dei locali tecnici e sottocoperta e negli accessori: la pezza e i guanti di amianto per il personale. E furono proprio le esposizioni alla fibra killer ad attivare il processo infiammatorio che poi ha portato al mesotelioma e alla morte dell’uomo. Tutto confermato anche dalla perizia del medico legale, Arturo Cianciosi.

Nulla, invece, per le due figlie dell’uomo, Francesca ed Elisa, che all’epoca della morte del papà avevano 32 e 35 anni, perché alla sua dipartita non erano a suo carico.

“Continua la disparità di trattamento tra orfani di vittime del dovere e quelli del terrorismo e della criminalità organizzata, che invece ricevono sempre i benefici” – commenta amareggiato Bonanni, che rileva – “le orfane, pur non essendo fiscalmente a carico, sono sempre figlie dell’uomo vittima del dovere”, e annuncia: “ci impegneremo con tutte le forze nelle sedi opportune per far sì che non ci sia più questa spiacevole discriminazione”.

“Siamo rimasti profondamente amareggiati. Mi aspettavo giustizia, di essere insieme a mia sorella riconosciuta come orfana di un papà che non c’è più per colpa dell’amianto. Invece viviamo una discrepanza abnorme, una decisione non coerente” – ha osservato la figlia Francesca, che ha sottolineato – “quando mio padre è venuto a mancare io avevo 32 anni e due bambini piccoli. Non ero a carico, ma non vuol dire che la mia sofferenza per questo sia stata meno gravosa. Come neo mamma avevo bisogno della presenza di mio padre, di un supporto… avevamo bisogno di un nonno. Invece l’amianto ha negato ai miei bambini, che erano troppo piccoli, anche il ricordo del nonno in vita. Noi questa sentenza la viviamo come un’ingiustizia profonda. Io sono orfana di mio padre, ma questo non mi viene riconosciuto”.

Le patologie asbesto correlate sono gravissime e possono manifestarsi anche 30 o 40 anni dopo l’esposizione. Per questo l’Ona continua a lottare per i diritti delle vittime e delle loro famiglie e per aggiornare la mappatura.