La vicenda giudiziaria di un anarchico pescarese – Alfredo Cospito, di 55 anni – è diventata nota ai più per l’attentato in Grecia a Susanna Schlein, sorella di Elly, candidata alla segreteria del Pd, attribuito da alcuni ad anarchici greci intenzionati a “sostenerlo”.
Ma, riferendolo al tema che ci interessa, il caso Cospito è l’occasione per riflettere su un problema finora irrisolto, ma suscettibile di incidere non poco sulla coerenza giuridica del nostro sistema giuridico.
Alfredo Cospito, già condannato per azioni violente, finalizzate ala lotta politica, era accusato di aver fatto esplodere due ordigni, a basso potenziale, piazzati in un cassonetto per le immondizie all’esterno della Scuola allievi carabinieri di Fassano (Cuneo), nella notte fra il 2 e il 3 giugno 2006. L’esplosione non ha causato né morti, né feriti.
Al Cospito è stata attribuita la condanna di 20 anni di reclusione per il reato di cui all’art. 280 c.p. (“attentato per finalità terroristiche o di eversione all’ordine democratico”). In seguito, la sua condizione carceraria, già in regime di alta sicurezza”) nella struttura carceraria di Bancali (Sassari), è stata aggravata per effetto di un decreto del Ministero della Giustizia, essendo stato egli stesso individuato quale autore di scambi epistolari con l’organizzazione anarchica di suo riferimento.
Cospito è passato, dunque, al cosiddetto regime del 41 bis dell’ordinamento penitenziario, quale “capo e organizzatore di un’associazione con finalità di terrorismo”; quella prevista da tale norma è una forma di detenzione particolarmente rigorosa, cui sono destinati gli autori di reati in materia di criminalità organizzata, nei confronti dei quali sia stata accertata la permanenza di collegamenti con le associazioni malavitose di riferimento.
Ma, nel luglio scorso, la Corte di Cassazione ha riformulato l’accusa nei suoi confronti, inquadrandola in quella di strage contro la sicurezza dello Stato, contemplata e disciplinata dall’art. 285 c.p. Sennonché un tale reato è – inderogabilmente – punito con la pena dell’ergastolo ostativo (cioè fine pena mai), la cui figura già è stata oggetto di vari dubbi di legittimità costituzionale.
In conseguenza della sentenza della Corte di Cassazione, che ha riformulato il capo di imputazione, gli atti del processo sono stati ritrasmessi alla Corte di Appello di Torino per la rideterminazione della pena definitiva da porre a carico del Cospito.
Ma, in questa sede, è sorto un nuovo problema di non poco conto: l’attentato compiuto dall’anarchico Alfredo Cospito è stato rubricato, in via definitiva (dalla Corte di Cassazione), come strage politica, ai sensi dell’art. 285 c.p., che prevede l’obbligo, per il giudice, di erogare l’ergastolo ostativo e solo questo, senza la possibilità di applicare sconti di pena o di riconoscere circostanze attenuanti.
Ma, così, si finirebbe per erogare una pena spropositata qualora, come sembra probabile, l’attentato in questione fosse stato solo dimostrativo, non suscettibile di creare danni a cose e persone. E allora, i giudici del merito, resisi conto della possibile stortura, si sarebbero chiesti, rinviando gli atti alla Consulta, se possa essere riconosciuta all’imputato, almeno, l’attenuante della speciale tenuità del fatto, qualora fosse davvero emersa la connotazione dimostrativa di un attentato, neppure potenzialmente lesivo dell’incolumità delle persone.
Perché, se così fosse, in sede di bilanciamento per la determinazione dell’entità della pena, tale attenuante potrebbe prevalere sulla recidiva specifica reiterata contestata e consentire l’inflizione di una più equa pena della reclusione fra i 21 e i 24 anni: comunque non quella di fine pena mai.
Il 19 dicembre p.v. si svolgerà, quindi, l’udienza del processo pendente a carico del Cospito per la lettura della (complessa e interessantissima) ordinanza di rinvio alla Consulta degli atti.
Non dispongo di alcun elemento fattuale per esprimere un’opinione nel merito su questa, pur grave, vicenda. Tuttavia, ritengo che la decisione della Corte torinese costituisca uno sforzo intellettuale molto importante sulla strada della ricerca di un maggior garantismo nel nostro ordinamento penale, che, per molti aspetti, risente ancora dei superati principi di tutela estrema dell’integrità dello Stato, tipica delle scelte autoritaristiche del ministro fascista Rocco.
Perché – ripeto e sottolineo – se fosse vero che l’azione criminosa del Cospito aveva solo finalità ideologiche, pare evidente la sproporzione fra la gravità del reato commesso e la pena per esso erogabile. L’ordinanza della Corte di Assise va, dunque, letta come uno sforzo di civiltà giuridica, anche se, in concreto, ho molti dubbi sulla sua accoglibilità da parte della Corte Costituzionale; non foss’altro perché, l’attenuante invocata, da bilanciare, poi, con la recidiva, è prevista soltanto per i reati commessi per un motivo di lucro.
Aspettiamo, comunque, con ansia e curiosità intellettuale la pronuncia della Consulta.