Con il credito d’imposta non si risolve il problema. Il tempo corrente, si sa, è caratterizzato da una forte instabilità, dovuta al susseguirsi di emergenze (sanitarie, energetiche e belliche) e alla chiusura anticipata della legislatura. Le aziende si trovano a dover fronteggiare seri problemi di liquidità e, di riflesso, si innescano meccanismi di finanza emozionale, che sfociano nell’assenza di investimenti.
Negli ultimi anni la politica ha preferito inseguire l’emergenza, tra l’altro con i decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio.
Tamponata l’emergenza, però, si dovrebbe puntare a responsabilità e pianificazione. E torna a essere indispensabile diversificare le modalità di finanziamento.
Le PMI rappresentano la spina dorsale dell’economia nazionale, sull’intero territorio; rappresentano un importante attore sociale, capace di influenzare il benessere collettivo. Purtroppo, però, sono percepite come un fattore di rischio nelle relazioni con le banche, perché da sole, specie oggi, non riescono a offrire garanzie adeguate all’accesso al credito del quale necessitano per la ripresa.
I recenti interventi normativi confermano un preoccupante scollamento con le esigenze della realtà imprenditoriale italiana.
Il Capo III del d.l. n. 50 del 2022 (conv. con l. n. 91 del 2022), infatti, agli artt. 21 e 22, prevede una elevazione del credito di imposta fino al 50% per investimenti in beni immateriali e l’aumento delle aliquote dei crediti di imposta per la formazione 4.0, ovvero per la trasformazione tecnologica e digitale delle PMI, con specifico riferimento alla qualificazione delle competenze del personale. Sempre sul fronte dei crediti di imposta si è agito per l’acquisto di energia e gas anche per aziende non energivore e non gasivore.
Ma il credito di imposta è strumento che non può dare sufficiente risposta alle esigenze di liquidità delle aziende, che necessitano di procedere agli investimenti strutturali richiesti per avere i crediti di imposta stessi, per pagare i dipendenti e per la sua stessa sopravvivenza.
Un istituto da rafforzare è l’Ente Nazionale per il microcredito, che recentemente ha innalzato l’importo di prestito richiedibile a 75.000 euro (prima era fissato a 40.000 e prima ancora a 25.000) con l’intervento del Fondo di garanzia all’80%. Resta, però, la non ammissibilità per quei soggetti che hanno delle ‘sofferenze’ iscritte in Banca d’Italia.
Appare quindi opportuno:
– estendere al 100%, o almeno al 90%, l’intervento del Fondo di Garanzia, senza tenere conto delle segnalazioni iscritte in Banca d’Italia;
– lavorare per implementare i canali alternativi o complementari al credito bancario, quali il crowdfunding strutturato, che consente di sfruttare anche una validazione critica del progetto imprenditoriale attraverso la rete in chiave di marketing o di invoice trading;
– programmare per tempo e con lungimiranza la possibilità per le PMI di continuare a operare, crescere e rappresentare un ganglio sociale fondamentale, sostenendole nella redazione di progetti di investimento economicamente sostenibili.
Le aziende continueranno a lavorare ogni giorno, anche a Camere sciolte, e rappresentano la nostra certezza e il nostro valore, in contrapposizione a un’ottica di perenne emergenza che non può più appartenere a un’azione politica improntata a serietà.
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Fonte: Ancora sull’accesso al credito