Ancora sullo IUS SCHOLAE

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Leggo sul numero 23 di “Riforma”, in data 10 giugno 2022, un articolo di Eraldo Affinati, uno scrittore che, nel 2008, ha fondato, con Anna Luce Lenzi, la Scuola “Penny Wirton” , una scuola gratuita di italiano per immigrati. Nato nel 1956, ha una ampia bibliografia, da cui segnalo, ma solo a mo’ di esempio, Campo del sangue (1997), diario di un viaggio da Venezia ad Auschwitz sulle tracce del nonno e della madre; Un teologo contro Hitler. Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (2002); L’uomo del futuro. Sulle strade di don Lorenzo Milani (2016).
 
E’ un articolo che dimostra come si possa scrivere su questo tema in modo, al contempo, appassionato e garbato. E quindi lascio subito la parola ad Affinati:
 
Diritti per chi nasce in Italia
 Sono nelle nostre scuole, a volte anche come insegnanti: la politica ne prenda atto

Il tema della cittadinanza italiana da concedere ai bambini e agli adolescenti di origine straniera regolarmente iscritti nelle nostre scuole si è trasformato negli anni, come sappiamo, in una sorta di arma impropria utilizzata da questo o da quello per orientare e manovrare il consenso da una parte o dall’altra passando sopra così ai diritti inalienabili delle persone: una stortura che si spera possa essere rapidamente superata, per quanto i rischi di strumentalizzazione siano ancora ben evidenti e chiari, man mano che ci si avvia verso le prossime consultazioni elettorali, locali e nazionali. È questo uno degli esempi più eclatanti di scarto lacerante fra i Palazzi dove si amministra il potere e la mitica cosiddetta società reale. Nel momento in cui le parole dei rappresentanti politici non corrispondono più all’esperienza della vita, allora tutto sembra perduto. Il risultato è sotto ai nostri occhi: la grande maggioranza dei giovani, e purtroppo non solo loro, ha di fatto rinunciato alla speranza di poter cambiare qualcosa.

Io conosco tanti ragazzi nati in Italia da genitori immigrati che non sono riconosciuti giuridicamente italiani. Lo potranno essere al compimento dei diciotto anni, quindi in ogni caso lo saranno, seppure dovendo superare una lunga trafila burocratica, anche conservando le leggi attuali. E allora di che cosa discutiamo? Omar è un sedicenne di Torpignattara, quartiere capitolino. Suo padre e sua madre vengono dall’Egitto. Lui ha visto la luce nell’Urbe imperitura, come la sorella Fatima, con la quale condivide la medesima sorte. Hanno frequentato le nostre scuole. Parlano con spiccato accento romanesco. Perché negare a entrambi, adesso non domani, l’uguaglianza giuridica? I padri costituenti, se interpreto bene lo spirito lungimirante del dettato fondativo della Repubblica nata dalla dissoluzione dei regimi totalitari, non avrebbero esitato nel concedergliela. E allora come spiegare tante indecisioni, tanti distinguo, tante premure? Ci aspetta un grande lavoro antropologico e sociale per rimuovere i pregiudizi e promuovere il libero confronto fra le persone: se tu non sei sicuro di te stesso, avrai paura di qualsiasi possibile intrusione, ogni incontro umano rischierai di percepirlo come minaccioso.

Torniamo a Omar. Ma ne potrei citare molti altri simili a lui. La sua presenza alla scuola “Penny Wirton”, dove insegniamo gratuitamente la lingua italiana agli immigrati in cinquantaquattro associazioni sparse lungo l’intero territorio nazionale, si è rivelata decisiva: essendo uno studente impegnato nei Pcto (Percorsi per le Competenze trasversali e l’Orientamento, ex Asl, Alternanza Scuola Lavoro), ovverosia le ore di tirocinio che ogni allievo delle scuole medie-superiori è tenuto a svolgere, lo abbiamo formato quale docente di italiano ai suoi coetanei immigrati. Omar parla arabo, quindi possiamo immaginare l’importanza cruciale del suo ruolo nei confronti di Ismail, appena arrivato dalla Tunisia. Vederli seduti al banco insieme a studiare i tempi verbali rappresenta uno spettacolo emozionante e in molti sensi istruttivo: il minorenne non accompagnato ospite di un centro di accoglienza che prende lezione da un suo coetaneo figlio di una coppia di immigrati.

Osservando i due adolescenti posti uno di fronte all’altro, è difficile trattenere lo sconcerto nel verificare il ritardo istituzionale che la loro relazione testimonia: il docente di italiano non è riconosciuto italiano! Sono anni che ciò accade sotto ai nostri occhi: ragazze e ragazzi figli di genitori congolesi, senegalesi, bengalesi e via dicendo, giovani perfettamente italofoni, in tutto e per tutto, al punto tale da essere utilizzati quali preziosi mediatori didattici per facilitare l’integrazione delle prime generazioni, i quali secondo la legge non potrebbero recarsi all’estero senza permesso, quindi, a esempio, partecipare come studenti ai programmi Erasmus. Si tratta di un anacronismo intollerabile.

Verrebbe da dire: il mondo è cambiato e voi non ve ne siete accorti! Oppure volgete lo sguardo altrove. A guidare le fila del nuovo consorzio umano, traghettando tutti noi verso la metà del Terzo Millennio, saranno proprio questi ragazzi, uno appena arrivato nel Bel Paese, pronto a imparare la nostra lingua per iscriversi a scuola, trovare un lavoro e chissà magari sposarsi e fare dei figli, l’altro che gliela sta insegnando, perché lui in Italia ci è nato, ci è cresciuto, ci è vissuto, ma è ancora in attesa di ottenere la cittadinanza”.
 
Si ringrazia la direzione di “Riforma” per il permesso di pubblicazione.
 
 
 

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Fonte: Ancora sullo IUS SCHOLAE

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