Animatori di comunità, un’opportunità per i giovani di Vicenza dal Servizio diocesano di Pastorale giovanile

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L'equipe degli animatori di comunità
Gli animatori di comunità, da sinistra, Alessia Carraro, Francesco Caccin, Elisabetta Pomi e Pietro Maroso

Il Centro Diocesano A. Onisto di Vicenza ha ospitato la presentazione del nuovo progetto “Animatori di comunità” promosso dalla diocesi vicentina attraverso il Servizio diocesano di Pastorale giovanile.

A spiegare l’iniziativa sono stati il vescovo di Vicenza, mons. Giuliano Brugnotto, che ha fatto gli onori di casa, don Matteo Zorzanello, delegato vescovile per la Pastorale Giovanile e soprattutto i giovani Francesco Caccin, Alessia Carraro, Pietro Maroso ed Elisabetta Pomi, protagonisti del progetto sin dalle prime fasi del 2018 e ancora impegnati come animatori di comunità, i quali hanno raccontato la loro esperienza, anche in prospettiva della partenza del nuovo progetto per formare ancora nuovi animatori.

Ma che cos’è l’animatore di comunità e qual è il senso del progetto? Innanzitutto si tratta di un investimento concreto che la Diocesi di Vicenza fa sul lavoro giovanile: gli animatori opportunamente formati saranno impegnati per 10 ore a settimana, con un contratto per un anno rinnovabile fino a tre. Quindi al di là dell’importanza di quanto i giovani faranno per la comunità, c’è il beneficio immediato di una opportunità lavorativa, non trascurabile quando si tratta delle ultime generazioni.

Il vescovo Brugnotto ha ricordato che l’Italia negli ultimi vent’anni ha perso oltre un quinto dei giovani, scoraggiati anche dalla difficoltà di trovare un lavoro che non sia instabile e discontinuo, questione che preoccupa 7 giovani su 10, i quali spesso si sentono lontani dalle istituzioni. La Chiesa, ha spiegato il Vescovo, non è avulsa dalla società, ma ne fa parte e i giovani hanno una forza propositiva e forme concrete di rielaborare i processi comunitari che non è giusto tralasciare. Attraverso le nuove generazioni si possono attivare nuove dinamiche comunitarie. Un modo di riavvicinare i giovani alla Chiesa? Piuttosto un modo di condividere, di far crescere la comunità, di promuovere attività di giovani con i giovani. L’esperienza precedente, maturata a partire dal 2018, ha portato i giovani a lavorare in diverse zone della diocesi, portando avanti iniziative anche importanti. E il riscontro positivo è tra le ragioni che hanno postato alla formulazione del nuovo progetto.

Don Matteo Zorzanello ha sottolineato che per coinvolgere i giovani non servono i grandi raduni, che è giusto fare e che hanno altri significati, ma non hanno poi efficacia nel tempo. Gli animatori di comunità invece sono efficaci sul territorio, non predicano ma annunciano il Vangelo attraverso la dimensione sociale.

Francesco Caccin ha spiegato che il nuovo progetto, aperto ad animatori e parrocchie, inizierà lunedì 27 gennaio con una videocall dalle 20 alle 21. La videocall servirà ad illustrare le linee generali della proposta, ma per chi non potesse seguirla, c’è comunque a possibilità di candidarsi fino al 28 febbraio (la pagina dedicata della pastorale giovanile contiene tutte le informazioni necessarie). I requisiti base per diventare animatori di comunità sono avere almeno 22 anni di età ed essere in possesso di una laurea triennale. Il tetto di età indicativamente sono i 35 anni. Viene fatta una prima selezione attraverso varie serate di incontri, poi ai selezionati verrà data una formazione specifica.

Ma in concreto, che cos’è l’Animatore di Comunità? Innanzitutto non è un animatore nel senso classico del termine, non è un pifferaio magico o un capo villaggio. Il suo ruolo, ed è per questo che viene richiesta una preparazione specifica, non è di protagonista dei processi di comunità ma di attivatore, facilitatore e mediatore di questi.

Sono esperienze importanti: Alessia Carraro ha definito i suoi anni da animatrice come esperienza molto arricchente, sottolineando che si è trattato del primo lavoro “vero”, dettaglio non da sottovalutare in un mercato del lavoro sempre complesso, in particolare per i giovani laureati.

Elisabetta Pomi ne ha sottolineato l’aspetto umano, oltre al quello professionalizzante, ricordando, per esempio, la soddisfazione di aver partecipato con esito positivo ad un bando per portare fondi alla parrocchia di Laghetto; oppure l’essere riusciti a ridare vita agli oratori, o, come ha ricordato Pietro Maroso, l’aver riattivato una commissione di Pastorale Giovanile a Tezze sul Brenta. Insomma, l’animatore è il catalizzatore che fa muovere progetti e facilita relazioni comunitarie.

Tutto questo in modo concreto ed efficace, senza parlare di fede, ma mettendola in pratica.