Il 25 giugno 2016 Mario Gerevini scriveva sul Corriere della Sera: «se qualcuno un giorno chiederà soldi a Zonin, deve sapere che è molto più povero». Un eufemismo visto che l’ex Presidente di Banca Popolare di Vicenza nel 2015 aveva uno stipendio annuale di 1.011.917 euro. Ma i nodi sono venuti al pettine, e alcuni sembrano sciogliersi proprio con le sentenze che oggi interessano l’affaire del fallimento delle popolari venete. Che ormai si trascina da cinque anni, tra timidi passi avanti e brusche retromarce.
Gianni Zonin, presidente per un ventennio dell’istituto di credito vicentino, di cui era già stato membro del cda per 16 anni, sapeva già della situazione in cui versava la sua banca quando decise di cedere (“donare”) parte del suo patrimonio a moglie e figli per renderlo non attaccabile da terzi: è questa la motivazione di base che ha portato il giudice monocratico Giovanni Genovese, del Tribunale civile di Vicenza, a dichiarare l’inefficacia degli atti con i quali Zonin alienò o donò, appunto, tra gennaio e maggio 2016, un palazzo in centro storico a Vicenza e una villa a Montebello Vicentino alla moglie e al figlio.
Il 23 novembre 2015, dopo i pesanti rilievi della Bce e le prime indagini della GdF, Zonin si dimise da presidente, il 22 dicembre trasferì la sua partecipazione (il 2 per cento) della Tenuta Rocca Montemassi srl alla moglie Silvana per 334 mila euro, fra il 15 gennaio e il 13 maggio del 2016, poi, donò al figlio Michele e alla moglie i due immobili per i quali la Guardia di Finanza ha, tra l’altro, accertato un valore di quasi un milione di euro.
L'istanza di annullamento di questo passaggio di proprietà, come altre analoghe in esame per altri beni, come, in primis, le azioni della Casa Vinicola Zonin Spa, tutte volte a contestare la validità dei cosiddetti “patti di famiglia” sottostanti alla donazioni/alienazioni era stata presentata dagli avvocati Carlo Pavesi e Stefano Verzoni, i legali della BPVi in Lca che seguono la complessa e corposa azione di responsabilità per circa due miliardi di euro contro il dominus della ex Popolare di Vicenza e altri vertici e organi di controllo societari intentata su decisione assembleare, quando la banca era ancora in bonis, e a cui abbiamo dedicato un libro documento “BPVi. Risparmiatori ingannati. L’azione di (ir)responsabilità” (clicca qui)
Un’ulteriore sentenza dello stesso giudice e sempre pochi giorni fa ha dichiarato anche l’inefficacia della cessione di partecipazione al capitale sociale della Tenuta Rocca di Montemassi S.r.l. alla moglie, per un valore di 334 mila euro. L’ex presidente di BpVi, infatti, avrebbe “posto in essere la cessione in un momento in cui non soltanto aveva la piena consapevolezza delle condotte attuate negli anni precedenti, ma esse erano altresì già state evidenziate dagli organi ispettivi”, si legge nella sentenza citata da Giuseppe Pietrobelli su Il Fatto Quotidiano di ieri, 8 maggio.
Quei beni, in attesa di altre decisioni analoghe su ulteriori alienazioni, tra cui quelle delle azioni della Zonin spa, su cui gli avvocati Pavesi e Verzoni, i legali della BPVi in Lca, possono ora essere ora più confidenti, tornano quindi a Zonin e potranno essere sequestrati per riparare i danni che l'ex presidente potrebbe dovere risarcire all'istituto di credito, come d’altronde già disposto in alcuni atti a favore di singoli risparmiatori soci tra cui quelli curati dall’avv. Renato Bertelle.
Questi primi verdetti contro l’azione di ”spoliazione“ dai proprie beni, messa in atto dal banchiere vicentino, non arrivano come un fulmine a ciel sereno dopo che nell’aprile del 2017 la banca decise di avviare l’azione di responsabilità contro gli ex vertici della Popolare vicentina, ovvero di far valere in giudizio le inadempienze dei doveri imposti ai soggetti con compiti amministrativi tanto che nel giugno dello stesso anno BPVi finì in liquidazione e recentemente è stata dichiarata insolvente, decisione che attende ora solo la conferma della Cassazione e che aprirebbe anche nuovi scenari in ambito penale con possibili chiamate in causa per bancarotta fraudolenta degli eventuali responsabili.
Su alcuni dirigenti apicali della Banca Popolare di Vicenza, dopo il crac, pendono, intanto, in ambito penale le accuse di «aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza di Bankitalia e Consob e falso nel prospetto informativo delle azioni» (qui le udienze del processo BPVi, ndr).
Riguardo allo scandalo della Popolare di Vicenza, che si è abbattuto su oltre 100.000 suoi soci risparmiatori, vicentini, veneti e di altre Regioni, che hanno visto i loro risparmi volatilizzarsi, nel 2018 il direttore di VicenzaPiù Giovanni Coviello, che fu il primo fin dal 2010 a lanciare in solitaria i suoi warning, pagandone di persona le rappresaglie, si chiedeva: «È tutta vera la nostra storia? Non lo sappiamo, perché di sicuro mancano tante informazioni, che ci vengono e vi vengono nascoste per sottomettervi con più facilità a quei poteri che stanno distruggendo quel che rimane di Vicenza».
Forse oggi con le due prime pronunce del giudice civile, che fanno seguito a varie sanzioni inflitte da Bankitalia e Consob a un allora incurante Gianni Zonin, una risposta, seppur piccola, abbiamo iniziato ad averla.
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