L’avv. prof. Rodolfo Bettiol, autore di “Banca Popolare di Vicenza. La cronaca del processo” (qui come e dove acquistarlo on line o fisicamente, ndr) fondamentale per conoscere gli atti e i passi successivi) prosegue l’illustrazione degli appelli (presentati dai legali dei 5 condannati Zonin, Giustini, Piazzetta, Marin e BPVi in lca) e dai pubblici ministeri Pipeschi e Salvadori avverso le due assoluzioni di Zigliotto e Pellegrini) col ricorso dell’avv. Lino Roetta (qui la cronaca e il testo della sua arringa completa in assenza del video non pubblicato per motivi tecnici, ndr) per Paolo Marin condannato in primo grado a sei anni dai giudici De Stefano, Garbo e Amedoro (qui tutti gli articoli, a breve pubblicheremo su Bankikeaks.com l’atto di appello completo).
L’atto di appello di MARIN PAOLO avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza del 19/03/2021 (B.P.VI)
Tramite l’avvocato Lino Roetta, Marin Paolo, vice-direttore generale della B.P.VI. e dirigente dell’Ufficio Crediti, propone un corposo atto di appello di cui riportiamo i punti salienti.
L’atto introduce preliminarmente la nullità della sentenza in relazione ad alcuni capi di imputazione non essendo stata rispettata l’elezione di domicilio dichiarata. Prosegue poi l’appellante facendo richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Si chiede il confronto tra Claudio Ambrosini responsabile dei crediti ordinari di B.P.VI. e Gennaro Sansone componente dal Team ispettivo di Banca d’Italia del 2012 onde dimostrare l’inattendibilità del secondo. Si chiede, inoltre perizia sul file audio relativo al Comitato di Direzione del 10/11/2014 in assenza di trascrizione di alcuni passaggi. Chiede ancora l’appellante perizia onde accertare l’entità e la natura delle operazioni correlate al finanziamento per l’acquisto di azioni della Banca. Si afferma, inoltre, l’inutilizzabilità delle trascrizioni audio del Comitato di Direzione BPVI del 10/11/2014 trattandosi di registrazione abusiva.
L’atto di appello afferma la convinzione di Marin sulla liceità delle operazioni finalizzate all’acquisto delle azioni. Tali operazioni erano parte in essere già prima che Marin divenisse responsabile della Divisione Crediti. Giustini, Seretti e Colombara gli dissero che essendo la BPVI una Banca Cooperativa non trovava applicazione l’articolo 2358 c.c. e che in tal senso esisteva un parere legale.
Le strutture di controllo della Banca Internal Audit ed Ufficio Legale erano informate circa l’operatività delle baciate e mai ebbero a sollevare questioni di sorta.
La Divisione crediti non aveva e non poteva poi avere certezza della complessiva entità del capitale finanziato stante l’autonomia delle fonti deliberative del credito.
Aggiunge l’appellante che sussiste il dato fattuale che numerosi consiglieri di amministrazione (e persino un componente del Collegio sindacale) avessero ben nota e appartenente al loro patrimonio conoscitivo la circostanza che si confermavano azioni con la provvista messa a disposizione della Banca. L’appello contiene l’interrogativo che se il Consiglio conosce queste operazioni tanto che anche alcuni consiglieri ne sono stati destinatari, diretti o indiretti, e se il Presidente ne è perfettamente informato, perché mai Marin dovrebbe preoccuparsi che l’importo delle azioni venga correttamente documentato dal patrimonio di vigilanza.
Particolarmente critico e diffuso è l’atto di appello in relazione all’ispezione della Banca d’Italia del 2012. Una volta, invero, si riconosce che nel corso dell’ispezione il tema delle azioni finanziate segnatamente con l’Ispettore Sansone non fu solo celato, ma, oggetto di specifici approfondimenti. Ne deriva quanto meno per difetto dell’elemento soggettivo la responsabilità di tutte le condotte contestate all’imputato.
Sul punto vanno ricordate le opposte dichiarazioni del responsabile della divisione crediti Ambrosini e dell’Ispettore Sansone, ritenuto quest’ultimo sia pure debolmente attendibile dal Tribunale di Vicenza. Osserva l’appellante che Sansone aveva interesse a smentire le dichiarazioni di Ambrosini, mentre nessun interesse aveva quest’ultimo a esternare le sue. Vi è il peccato originale che Banca d’Italia vuole emendare nel processo.
La stessa ha creduto ed incentivato la crescita della Banca Popolare di Vicenza e a Banca collassata non può permettere che qualcuno o qualcosa possa accusarla di essere stata omissiva o addirittura connivente.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale l’informazione circa il disvelamento della prassi dei finanziamenti correlati venne subito portata a conoscenza dei componenti della Divisione Crediti. Le dichiarazioni di Ambrosini di avere specificatamente discusso con Sansone dei finanziamenti correlati sono costanti. Non altrettanto coerenti sono le dichiarazioni di Sansone. Al direttore Sansone furono consegnate le domande di acquisto presentate da Luisetto-Cattaneo, Elan srl, Teseo Savino e Bragagnolo Furio, Torrilli e Bufacchi (si tratta di operazioni baciate). Sulla base altresì di ulteriori considerazioni il Tribunale doveva ritenere attendibile quanto affermato da Ambrosini e dallo stesso Marin.
Nessun elemento sussiste per affermare che Marin conoscesse le lettere di impegno al riacquisto non inserite nelle pratiche elettroniche di fido, ma conservate in cartaceo presso le filiali.
L’atto di appello contesta poi l’ipotizzato concorso con gli altri imputati, contestando l’affermazione del Tribunale che gli imputati avessero piena ed assoluta consapevolezza dell’occultamento delle operazioni baciate al mercato e alla vigilanza.
Per l’imputato le operazioni erano volte al fine di svuotare il fondo riacquisto azioni proprie e creare liquidità nel mercato secondario.
Solo in epoca successiva il Direttore Generale Sorato decise di estendere l’operatività dei finanziamenti correlati anche al fine di sostenere i parametri di capitale.
Di tale esigenza nulla sapeva Marin che non aveva una compiuta conoscenza in ordine al dato quantitativo del capitale finanziato. Nessun segnale d’allarme vi era per Marin che i dati relativi alle operazioni baciate non sarebbero stati dedotti dal patrimonio di vigilanza.
Manca in definitiva il dolo richiesto in capo all’imputato.
L’atto d’appello conclude chiedendo l’assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce reato.
In via subordinata si chiede la diminuzione della pena inflitta.