Buongiorno direttore, leggo della sua ultima battaglia (l’appello “taglia costi legali” su ristori a soci banche in Lca o risolte, ndr) – che personalmente in questo caso non condivido – contro i legali che assistono gli azionisti delle banche venete. Posto che mi trovo in evidente conflitto di interesse (chi scrive è Riccardo Federico Rocca, Commercialista e revisore legale, partner dello studio legale Rocca – Milano, nostro esperto indipendente, ndr), cercherò di argomentare la mia posizione nel modo più oggettivo.
a) In molti abbiamo condiviso il principio di diritto che la richiesta di rimborso delle azioni tout court fosse insostenibile, e che invece andasse dimostrato il misselling quale presupposto giuridico per rivendicare il risarcimento.
E’ pacifico che tale dimostrazione richieda una certa attività professionale e che se, a consuntivo, non tutti potranno sostenere di essere stati truffati, è perché non tutti sono stati truffati: chi ha acquistato azioni della BPVi nel 2007 a suo tempo ha pagato un prezzo giusto e, se era imprenditore o commercialista o avvocato, non potrà sostenere di non avere chiaro cosa fosse un’azione di società non quotata. Così come chi ha acquistato azioni per consentire alla propria azienda di accedere a un fido che poi magari non ha restituito, non si trova nella medesima situazione di chi nel 2013 è stato indotto a disfarsi dei propri CCT per acquistare obbligazioni “che rendono di più”, poi trasformate nel giro di 18 mesi in azioni di valore nullo.
b) Ciascun azionista ha una propria posizione specifica che va adeguatamente argomentata e ha subito un danno che va dimostrato e quantizzato. Questa è un’attività professionale che richiede competenza, e quando lei correttamente ha rilevato che nelle sentenze già emesse l’ACF ha riconosciuto in media il 50% della richiesta risarcitoria, quasi fosse uno standard, non ha considerato che le decisioni erano basate sulla documentazione prodotta e le argomentazioni esposte in atto, e se tali attività difensive erano state svolte con superficialità, era inevitabile che la richiesta risarcitoria fosse accolta in misura ridotta rispetto al petitum.
c) In ultimo una riflessione che ritengo di buon senso anche se forse ad alcuni potrà apparire egoistica. Nel 2015 il valore delle azioni delle due ex banche popolari venete in circolazione tra le persone fisiche ammontava a circa cinque miliardi di euro. Poiché il governo ha stanziato 1,5 miliardi di euro ne consegue che se il detto importo sarà suddiviso pariteticamente tra tutti gli azionisti a ciascuno spetterà non oltre il 30%. Se però, in ipotesi, entro il 30 giugno 2019 (data indicata nella legge come termine ultimo per presentare la domanda di ristoro) solo azionisti che rappresentino 3 miliardi di valore presenteranno la propria domanda, la percentuale del ristoro aumenterà automaticamente al 50%. E se un certo numero di applicants commetterà errori nella predisposizione della domanda o non saprà argomentare in modo appropriato, la percentuale – per chi avrà operato con efficacia – potrà aumentare anche al 70/80%.
d) Va considerato che non tutti gli azionisti si trovano al medesimo punto di partenza: in particolare, vi sono circa 15.000 azionisti – i più duri a morire – che a suo tempo hanno sdegnosamente rifiutato di aderire alla OPT e, invece, si sono iscritti alle varie associazioni e hanno sostenuto costi per: (i) le quote associative; (ii) la presentazione di denunce alle autorità competenti: (iii) la costituzione come parte civile nei processi penali; (iv) l’insinuazione nello stato passivo delle LCA; (v) l’invio di lettere di interruzione della prescrizione; (vi) l’acquisto degli atti dei processi penali. Per non considerare i costi legali di chi già aveva avviato un procedimento giudiziario prima dell’avvio della LCA. Inoltre detti azionisti si sono costantemente informati, hanno letto avidamente ogni notizia pubblicata sulla stampa, hanno partecipato a convegni informativi, alcuni sono anche scesi in piazza. E, sopratutto, possono avvalersi di legali che da tre anni seguono la vicenda e, quindi, dispongono di tutte le informazioni e competenze per predisporre una efficace domanda all’ACF. In sostanza godono di un evidente “vantaggio competitivo”.
Ben diversa è la situazione delle decine di migliaia di azionisti residenti in Sicilia, Puglia, Basilicata, Campania, centro Italia che pure rappresentano quasi il 50% del totale e che, obiettivamente, non saprebbero a chi rivolgersi o finirebbero per farsi assistere da chi ha una conoscenza limitata della vicenda. Con la ovvia conseguenza di vedersi respinta la richiesta risarcitoria, o comunque, di vederla soddisfatta solo in percentuale ridotta.
e) Ora se i vari Ugone, Arman, Miatello, Puschiasis, Conte, don Torta, Calvetti, Moschini ecc. vogliono per davvero rendere un servizio a chi negli ultimi anni ha comunque sostenuto dei costi per consentire alle relative associazioni o ai relativi studi legali di operare – e mi riferisco ai 15.000 azionisti di cui sopra – dovrebbero avere tutto l’interesse a che per accedere al Fondo di ristoro sia necessario salire qualche gradino, perché tutti i citati si trovano nella più ottimale condizione per consentire ai propri associati e clienti, o almeno alla grande maggioranza, di dimostrare il danno subito e massimizzare la richiesta risarcitoria. Tanto più livellata sarà la procedura, tanto minore sarà il vantaggio competitivo degli azionisti veneti. I quali, invece, avrebbero diritto morale e giuridico ad avere di più.
Riccardo Federico Rocca, Commercialista e revisore legale, partner dello studio legale Rocca – Milano, nostro esperto indipendente