Non è la prima volta che ci occupiamo del mancato rispetto, da parte degli intermediari finanziari, delle decisioni degli arbitri (Arbitro Bancario Finanziario e Arbitro delle Controversie Finanziarie abbreviati in ABF e ACF) e abbiamo già evidenziato le preoccupanti dimensioni assunte dal fenomeno (1).
Ad onor del vero – come risulta dall’ultima Relazione dell’Arbitro Bancario Finanziario sull’attività svolta nel 2021 – una grande quantità di inadempimenti alle decisioni di quest’ultimo è riconducibile alle note questioni seriali dell’estinzione anticipata dei finanziamenti ai consumatori (c.d. sentenza Lexitor), alla liquidazione dei buoni fruttiferi postali della serie Q/P e, in misura minore, ai finanziamenti indicizzati al franco svizzero.
“”Al di fuori di queste materie, il tasso di adesione alle decisioni dei Collegi è stato del 96 per cento”” (così la Relazione – pag. 8); se, invece, si considerano anche le inadempienze alle pronunce su cessione del quinto dello stipendio e sui buoni fruttiferi postali – che costituiscono una parte massiva dei ricorsi e delle pronunce di accoglimento – il tasso di inadempimento complessivo balza fino al 38 per cento (Relaz. Cit. Pag. 25).
Ancora dalla citata Relazione (Pag. 27 Par. intitolato “L’ABF E LA GIUSTIZIA ORDINARIA”) apprendiamo che nei primi mesi del 2022 è stata condotta un’indagine, presso un campione di intermediari, per raccogliere informazioni sulle controversie sottoposte al giudice ordinario – da parte dei ricorrenti o degli intermediari stessi – successivamente alla decisione dell’ABF. Da tale indagine è risultato che soltanto l’1,4 per cento delle pronunce dell’Arbitro – cioè una frazione pressochè insignificante – ha avuto un seguito presso la giustizia civile attivata, in assoluta maggioranza (87% dei casi), da parte del cliente con lo scopo di ottenere dal giudice una pronuncia che confermasse la decisione dell’Arbitro e che avesse l’effetto di costringere l’intermediario ad adempiere.
Dunque il 98,6 per cento delle decisioni inadempiute sono rimaste “lettera morta”: mancata tutela per il cliente, lavoro inutile e grave danno per la credibilità dell’Arbitro! Ma non basta perchè i lunghi tempi della giustizia hanno fatto sì che “solo il 14 per cento dei procedimenti sottoposti al giudice ordinario dopo il ricorso all’ABF è risultato già deciso”.
Eppure ci sembra che gli asettici numeri della Relazione modifichino, almeno in parte, questo quadro negativo poiché i giudici, nei casi in cui la vertenza vinta davanti all’ABF è stata proseguita in sede giudiziaria, hanno confermato l’orientamento arbitrale nell’82 per cento dei casi. Quando non lo hanno fatto, ciò è dipeso, il più delle volte, da divergenze nella ricostruzione dei fatti e nella formulazione delle domande delle parti; raramente i casi in cui l’esito del giudizio ABF non è stato confermato hanno riguardato una diversa interpretazione dei principi giuridici applicabili (cfr. Relaz. cit.).
Dunque una favorevole decisione dell’Arbitro Bancario lascia prevedere – di norma – un favorevole esito del giudizio.
Significativo, sotto il profilo dell’esito della “impugnazione”, in sede giudiziaria, della decisione arbitrale, è stato il caso deciso dal Giudice di Pace di Varallo (2)
Nella fattispecie esaminata dal giudice, l’attore, titolare di un buono fruttifero postale, dopo avere ottenuto una favorevole decisione da parte dell’ABF, Collegio di Torino, che gli aveva riconosciuto i maggiori interessi previsti, visto che Poste non provvedeva ad adempiere, si rivolgeva al giudice chiedendo la condanna di Poste al pagamento; da notare che l’attore non chiedeva ordinarsi l’adempimento della favorevole decisione arbitrale ottenuta.
Il Giudice adito, invece, esclude addirittura di doversi addentrare nel merito di una questione già decisa dall’ABF ed afferma:
– “La domanda formulata da parte attrice è stata provata e pertanto deve essere accolta. Nello specifico tale conclusione trova fondamento nell’evidente inadempimento da parte di xxxxx nel dare esecuzione alla decisione 18885/2020 dell’Arbitrato Bancario di Torino con la quale veniva riconosciuto il diritto al rimborso in capo a parte attrice;
– “Senza entrare nel merito…. ciò che rileva secondo questo giudice è soltanto l’inadempimento di parte convenuta nella decisione dell’Arbitrato Bancario di Torino con la quale quest’ultima veniva condannata al rimborso di quanto non corrisposto al momento dell’incasso del buono fruttifero”.
In sostanza il Giudice di Varallo si limita ad attuare (diremmo: a conferire efficacia esecutiva a) quell’ordine dell’ABF che ne è sprovvisto.
E’, altresì, evidente che, in questo modo, il Giudice attribuisce alla decisione arbitrale il valore di un ordine perentorio da osservare senza alcuna possibilità di obiezioni del tipo: l’intermediario ha la scelta di non adempiere; oppure non condivide (sic) le decisioni dell’arbitro; o, infine, si comporta davanti al Giudice come se neppure ci fosse stata una decisione che gli dà torto.
La valorizzazione delle decisioni arbitrali operata dalla sentenza del Giudice di Pace di Varallo, pur utile, non elimina, però, il problema generale dell’assenza di strumenti che, se non consentono l’esecuzione, quanto meno la facilitano. Un tale risultato, per essere raggiunto, impone un ulteriore intervento del legislatore. Ci viene in mente che un primo passo avanti, in tal senso, potrebbe essere quello di prevedere l’azionabilità della decisione arbitrale a mezzo di ricorso per ingiunzione.
1 – Si veda “”Arbitrati finanziari e decisioni snobbate da intermediari. Proseguire in giudizio?””.:
2 – Qui la sentenza
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Fonte: Arbitri bancari e finanziari decidono, ma il soccombente non ottempera. Che fare?