“Arlecchino muto per spavento” di Stivalaccio Teatro: un debutto molto particolare per chiudere la stagione di prosa del Teatro Comunale di Vicenza. Lo spettacolo andrà in scena mercoledì 25 e giovedì 26 maggio alle 20.45 in Sala Maggiore. Lo si apprende da un comunicato stampa.
“La Compagnia di teatro popolare Stivalaccio Teatro presenterà in prima assoluta Arlecchino muto per spavento, ispirato ad Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni, un omaggio alla grande tradizione della Commedia dell’Arte con la ripresa di uno dei canovacci più rappresentati nella Parigi dei primi del ‘700, riproposto per la prima volta in epoca moderna.
Il nuovo spettacolo di Stivalaccio Teatro (scenografia di Alberto Nonnato, costumi di Licia Lucchese, disegno luci di Matteo Pozzobon e Paolo Pollo Rodighiero, maschere di Stefano Perocco di Meduna, soggetto originale e regia di Marco Zoppello, duelli di Massimiliano Cutrera, consulenza musicale di Ilaria Fantin, una produzione Stivalaccio Teatro, Teatro Stabile del Veneto, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Verona con il sostegno della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e della Fondazione Teatro Civico di Schio) dopo il debutto a Vicenza, città dove ha sede la compagnia di teatro popolare, sarà in tournée nei teatri del Veneto, del Friuli Venezia Giulia, della Lombardia e dell’Emilia Romagna nella stagione teatrale 2023.
Arlecchino muto per spavento vede in scena i fondatori di Stivalaccio Teatro con alcuni nuovi nomi per la compagnia; i protagonisti sono: Sara Allevi, Marie Coutance, Matteo Cremon, Anna De Franceschi, Michele Mori, Stefano Rota, Pierdomenico Simone, Maria Luisa Zaltron, Marco Zoppello. L’ambientazione della pièce è storica, nel 1716, quando gli attori della Comédie Italienne furono richiamati a Parigi dopo la cacciata ad opera della corte per le commedie irriverenti nei confronti di Madame de Maintenon, moglie segreta di Luigi XIV.
Dopo circa quindici anni di esilio forzato i Comici Italiani possono dunque tornare a lavorare nei teatri parigini e lo fanno con una compagnia di tutto rispetto: Luigi Riccoboni in arte Lelio, capocomico della troupe, si circonda dei migliori interpreti tra cui, per la prima volta in Francia, l’Arlecchino vicentino Tommaso Visentini, pronto a sostituire lo scomparso Evaristo Gherardi. Ma il Visentini non parla il francese, colpa imperdonabile per il pubblico della capitale. Ed ecco il guizzo geniale di Riccoboni nell’inventare un canovaccio dove il servo bergamasco diventa muto … per spavento!
La trama è quella “classica” della Commedia dell’Arte, con un amore contrastato e i lazzi e le improvvisazioni lasciate ai personaggi e alle maschere che portano in scena. Qui il giovane Lelio, lasciata Bologna e giunto a Milano, pretende sia fatta giustizia. Nella sua patria si è follemente innamorato di Flamminia, figlia del Dottor Lanternani, ampiamente ricambiato. Ma il padre della giovane l’ha già promessa in sposa a Mario, figlio del mercante veneziano Pantalone de’ Bisognosi. Ecco il motivo della venuta di Lelio a Milano: ricondurre alla ragione Mario e il padre Pantalone o, alla peggio, sfidare il giovane a duello. La notizia avrebbe dovuto rimanere nascosta, ma Arlecchino, servitore di Lelio, appena giunto in città la diffonde ad ogni anima viva incontrata. Per ridurlo al silenzio il suo padrone gli dona un anello incantato: se Arlecchino parlerà l’oggetto magico glielo rivelerà ed il servitore sarà decapitato. Arlecchino decide dunque di chiudersi in un religioso silenzio, diventando muto… per spavento!
Nonostante sia stato privato della parola, Arlecchino riesce ad innamorarsi della servetta di Pantalone, Violetta, a fare baruffa con Trappola, anche lui innamorato della ragazza, a stracciare la lettera della giovane Silvia e a combinare un sacco di guai, il tutto mentre le due coppie di innamorati cercano una giusta risoluzione ai loro intrighi, ostacolati da Pantalone e dal Dottor Lanternani.
Questo “Arlecchino”, sicuramente originale per la scelta del canovaccio inedito e per la volontà di riportare alla ribalta dopo almeno 20 anni di silenzio la Commedia dell’Arte con il suo “repertorio” di strumenti del mestiere come la recitazione, il canto, la danza, il combattimento scenico, i lazzi e l’improvvisazione, testimonia la scelta di voler fare un “teatro d’arte per tutti”, come la vera e profonda vocazione di Stivalaccio Teatro.
Un teatro popolare, ma ricco di spunti, in cui la tradizione della Commedia dell’Arte viene smontata e rimontata con gli strumenti di interpretazione e di lettura del XXI secolo, uno spettacolo in cui gioco, invenzione, amore, paura e dramma si mescolano, celati dalle smorfie inamovibili delle maschere e dall’abilità degli interpreti. Un canovaccio moderno, per utilizzare le parole di Eugenio Allegri, che va “alla ricerca della propria origine, della propria storia, del proprio presente per ritrovare la ‘memoria attiva’ di un discorso sul teatro e, attraverso il teatro, di un discorso sulla società”. Una trama in cui gli intrecci si ingarbugliano sugli equivoci, ma lentamente si dipanano tra le gesta dei personaggi. E se queste esili vicende, ambientate in un mondo surreale e fantastico, echi dello splendore teatrale italiano di tempi lontani riescono ancora a strappare un sorriso, forse in quel preciso istante potrà rinascere la poesia del teatro, per troppo tempo silenziata e muta.
Stivalaccio Teatro, nato nel 2007 come compagnia di teatro popolare, grazie all’incontro di Michele Mori e Marco Zoppello, a cui si uniscono nel 2013 Sara Allevi e Anna De Franceschi, si è contraddistinto nella rilettura dei classici attraverso il linguaggio della Commedia dell’Arte. Negli ultimi anni la compagnia ha lavorato sul fronte della Commedia dell’Arte partecipando a prestigiosi festival in Italia come Operaestate, Primavera dei Teatri e Asti Teatro e all’estero, dove ha rappresentato l’Italia al Festival Off di Avignone nel 2019, al Carnevale delle Arti di Barranquilla (Colombia) e al Long Lake Festival di Lugano. I quattro attori-fondatori condividono la stessa formazione di teatro fisico-gestuale, danza, teatro fisico, nuovo mimo e nuova clownerie, ma soprattutto una comune visione di teatro popolare e popolato di idee, di luci, di sguardi, di storie da raccontare: “Alla base del nostro lavoro c’è la ricerca di un teatro che possa parlare a tutti. Vogliamo uno spazio dove il teatro diventi sinonimo di comunità”. La compagnia ha la sua sede a Vicenza, all’Anconetta.