“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (la precedente pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 6 aprile 2021, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)
Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.
Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (osi da… ciuciare) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.
“Ciuciare i osi” é un’arte.
Peccato che i polli abbiano due sole zampe, e non sempre due.
Il macellaio e pollivendolo, “el sior Francesco”, distribuiva equamente le estremità dei volatili da cortile a chi acquistava solo il quartino, fosse passo o volo. I quarti erano quattro, le zampe due così venivano cedute di volta in volta a questo od a quell’acquirente, normalmente in coppia, ma anche separatamente. Così, quand’eri l’eletto, era meraviglioso.
Le zampe ben lavate, scottate per levare la parte squamosa, venivano cotte lessate con il lesso, od in umido con l’umido. Cotte conquistavano il tuo piatto. Si rosicchiava per quanto c’era da rosicchiare, e poi…… si dava il via al ciucciare. Tutti quegli ossicini del piede, ché il piede era della zampa la parte più sostanziosa e gustosa. Si ciucciavano quelle pellicine che circondavano l’osso. Attaccavano.
Si attaccavano alle dita, e ciucciarsi le dita era buono. Ti rimproveravano “no ‘a xe creansa” ma era un rito. Un rito per chi rimproverava, un rito per te che imperterrito continuavi a a succhiarti le dita condite dal “tacaiso” delle ossa.
Nel rito del ciucciare entravano anche altre ossa anche se non così guastose. Se ti capitava un ginocchio di manzo l’operazione si estendeva assai nel tempo, durava fino a tanto che le ossa non fossero lucide come per una permanenza di mesi nel deserto esposte alla deflazione ed al sole.
I nervi erano pura libidine.
L’attacco si svolgeva con una operazione concentrica. Si cominciava dai nervetti più piccoli, quelli periferici e poi i bocconi più grandi e poi la parte dura ed alla fine si intaccava quelle parti ove un osso si muove dentro ad un altro e che con la bollitura si scagliava.
Romantiche erano le ciucciate quando in tavola capitava un ossobuco. Due cose ti esaltavano: la “megola” ed il periostio. Se la fetta d’osso era ricavata all’estremità dell’arto, non c’era il buco. L’interno era spugnoso, ed il piacere era succhiare a mò di aspiratore per almeno quindici minuti.
Le ossa degli arrosti? Chi se ne ricorda! Gli arrosti erano talmente rari che ogni volta dovevi inventarti un sistema di “ciucciare”.
Delle bracciole non se ne parla, anzi se ne parla solamente. Chi le aveva mai viste.
“Dame i osi pa ‘l can”. Allora non si diceva, che se ne poteva fare di quelle ossa il cane! Se l’amico dell’uomo avesse potuto esprimersi avrebbe detto ‘ma mi prendi in giro?’.
“Ciucciare i osi” é un’arte?
É assai di più.
“Ciucciare i osi” é cultura.