“Arte culi ‘n aria”, la ricetta n. 6 di Umberto Riva: “i gnocchi” e la soddisfazione di potersi ciucciare le dita

232
Gnocchi di patate, da Arte culi ‘n aria una... versione
Gnocchi di patate, una... versione
Gnocchi di patate per Arte culi ‘n aria
Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (gli “gnocci”) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più

C’era una tavola, una tavola che si sistemava sul tavolo da cucina. Era la “tola de ‘e tajadee”, la stessa ove si preparavano i gnocchi o qualche dolce. Era bella quella tavola. Non era perfettamente piana, era di legno dolce e siccome si presentava imbarcata, sotto l’angolo lontano trovava posto il coltello quello grosso con la punta mezza tonda che veniva usato per fare il battuto di lardo. Così stava ferma. Quello stesso coltellaccio, praticamente senza taglio, che si usava, alla fine, per raschiare dalle croste degli impasti, la famosa tavola dopo aver fatto dolci o gnocchi o tagliatelle.

Gnocchi di patate.

Patate bollite pelate bollenti, passate bollenti nello schiacciapatate, impastate con un uovo e farina bianca, bollenti. Le patate bollenti contengono più acqua, assorbono più farina bianca, così, con lo stesso numero di patate, venivano più gnocchi.

A proposito di gnocchi. Erano di giovedì, non di tutti i giovedì. Di quel dato o casuale giovedì. La produzione coinvolgeva i bambini quando arrivavano da scuola. Il primo ordine di mamma era “lavarse le man”.

Si trovava la pentola con le patate a termine cottura, la tavola da tagliatelle pronta con farina e l’uovo. Il “skisapatate”, arma primaria, una forchetta e tanto entusiasmo. La gioia era schiacciare le patate, la parte noiosa era allineare lungo la parte superiore della tavola da tagliatelle i gnocchi che una volta creati e passati sul retro della grattugia per renderli rugosi, dovevano essere anche contati. Ad ognuno il suo. Eravamo in quattro, quattro file parallele e paritetiche fin quasi alla fine chè, ad un certo punto una si allungava, era quella del papà. Ogni piatto veniva cotto per conto proprio e la cerimonia iniziava quando arrivava il papà. Il condimento era pomodoro cotto e passato, burro e “formaio gratà”. Quel buon formaggio che allora si stagionava con grande cura nello scantinato della “botega da casolin del sior Scolarin”.

La tecnica “de magnare i gnochi” consisteva nel privare di gnocchi un angolo del piatto e lì “pociare”. Vietato mescolarli, si impasterebbero e perderebbero la loro consistenza. Il profumo di quella leccornia permeava la casa e permaneva a lungo oltre il giorno fortunato.

Era soddisfazione domestica, quando, passando davanti casa, la siora Balbo o la siora Pagiaro esclamavano “gnochi anco, siora Rina”.

La fine era sempre quella.

Pane per lucidare il piatto e la soddisfazione di potersi, impunemente, ciucciare le dita.