“Arte culi ‘n aria”, la quarta ricetta vicentina di Umberto riva dal suo libro: pollo in umido e polenta molle, “Ge go brusa? i penoti”

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Arte culi 'n aria, un'interpretazione di
Arte culi 'n aria, un'interpretazione di "pollo in umido e polenta molle"
Umberto Riva
Umberto Riva

“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (la prima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è del 30 giugno 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon)

Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.


Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva (la “putana”) rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.

“Ge go brusa? i penoti”.
Quel puzzo che aleggiava per la casa ed anche fuori, quel puzzo che mi ricordava il maniscalco quando piazzava il ferro rovente sullo zoccolo dei cavalli, proprio quello stesso puzzo indicava il menu del giorno: “polastro in umido co ‘e patatine novee e poenta servia co ‘l sculiero”. Non poteva essere gallina lessa ché ben pochi erano i “penoti” in una vecchia fattrice d’uova. Solo un pollo giovane ed aitante poteva creare una simile puzza.

Arte culi 'n aria
Arte culi ‘n aria

“Tanta poentina, tante patatine, tanto poceto, e un toketo de poastreo che ‘l tacava da tute le parte”. Da mangiare anche con le mani, e le dita che si appiccicavano alle succose ossa ed i polpastrelli che restavano impregnati tant’e? che a fine pasto se li sfregavi tra loro ne ricavavi palline di unto e per lavarti le mani dovevi usare tanto sapone e fregare energicamente, “anca co ‘l spasolin da ongie, se no te onsi da par tuto”.

Non si chiamavano polli ruspanti, ché erano tutti cosi? “boni”. La pelle era addirittura dolce e si scioglieva in bocca, la carne era talmente appiccicata all’osso che la dovevi strappare coi denti, gli ossetti, anche i piu? piccoli, erano consistenti e e si rosicchiavano e succhiavano a lungo.

Le patatine. Erano novelle e rotonde, impregnate di quella preziosita? creata da cipolla, sedano, carota, un po’ di salvia e concentrato di pomodoro, la conserva che ti vendevano accartocciata nella “carta oleata”. Il tutto sciolto nel grasso naturale rilasciato dal pollo.

Estasi.
La polentina che nuotava nel sugo tra pollo e patatine.

Il religioso silenzio della degustazione, regnava in tutta la casa. Anche il papa? che in fatto di gusto era zero (potevi servirli baccala? con le prugne e dirgli che era buono e lui annuiva) anche il papa? mangiava ad occhi religiosamente semichiusi (che lo facesse per emulazione?). La mamma doppiamente soddisfatta e per orgoglio di cuoca e perche? il buono era buono, in silenzio “ciuciava”. Noi lustravamo gli ossi fino renderli piu? che puliti, luccicanti. Erano degni di una sala d’anatomia. Alla fine anche i piatti erano splendenti ed il gusto di mangiare aveva raggiunto il sublime tant’e? che i bicchieri con l’acqua erano intatti.

“Polastro in umido co ‘e patatine novee”, piatto primaverile. I pollastrelli avevano, una volta, la loro stagione, “coto in tecia de teracota, roba da siori”. Fornitore Tripoli.