“Arte culi ‘n aria“ è il titolo di una serie di.. articuli così come li ha scritti (l’ultima pubblicazione di quello che ripubblichiamo oggi è dell’11 dicembre 2019, ndr) Umberto Riva per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più: gli articoli sono raccolti insieme alla “biografia” tutta particolare del “maestro” vicentino Umberto Riva nel libro “Arte culi ‘n aria”, le cui ultime copie sono acquistabili anche comodamente nel nostro shop di e-commerce o su Amazon.
Prima di “gustarti” la nuova ricetta fuori dal normale di Umberto Riva rileggi la Prefazione e il glossario di “arte culi ‘n aria“, una nuova serie di.. articuli così come li ha scritti il “nostro” Umberto per te che nel piacere della tavola, vedi qualcosa di più.
Quel grosso cesto appeso al braccio era pieno di verdure. Aveva due fianchi che tenevano larga una gonna ampia, drappeggiata che arrivava ai piedi costretti in scarpe nere con cinturino, sformate dalle nocche dei piedi. Dalla vita in giù sembrava il paramento dietro l’altar maggiore, quello attaccato alla corona, durante le feste grandi. Dalla parte esterna del cesto, appesa col gancio al manico di legno, una stadera, bilancia per le verdure a peso.
Era l’epoca dei piselli.
Il rientro da scuola aveva un titolo, “scaolare i bisi”.
I piselli, quelli rotondi, lisci profumati, finivano in una terina, le scorze in una vaschetta con acqua. Anche i baccelli erano importanti. Venivano ben lavati e lessati a lungo, molto cotti. Venivano passati nel passaverdure che l’acqua di cottura slavava affinché niente rimanesse. L’acqua, con quanto rilasciato dai baccelli, era buona per il minestrone di verdura. Era usata anche come acqua di governo per il risotto. Era deliziosa anche da bere, leggermente verdina, leggermente dolciastra, leggermente densa, leggermente lassativa.
I piselli, piccoli, tutti uguali, dolci, erano buonissimi anche crudi. “No magnarli crui che te vien ‘l mal de panza”, non era vero, ma il timore riduceva i danni.
Quel profumo che le finestre aperte diffondeva fino in istrada era dei “bisi in antian”. Scalogno tagliato fino, rosolato con pancetta ridotta a dadini era l’antefatto dell’immane opera. Quando lo scalogno era trasparente e così la pancetta, allora e solo allora venivano versati i piselli che cominciavano a cuocere con piccole correzioni d’acqua, col coperchio fino a che facevano le fossette. Solo allora il coperchio veniva tolto fino a far evaporare il liquido superfluo.
Il profumo era trionfante.
Il risotto veniva governato col brodo di gallina, se n’era avanzato dalla domenica prima, oppure con acqua. A cinque minuti dalla fine cottura “da ‘a tecia de i bisi in antian” venivano tolte alcune cucchiaiate, una ogni due commensali, destinate andavano ad arricchire il risotto. Si cominciava a vedere quella specie di succo denso, amido con liquido di piselli, legare il riso. Se alla fine poi, una noce di burro trovava ospitalità, si matecava. “Mai meterge formaio, se perde la delicatesa dei bisi” e dopo “lecare anca ‘l piato”.
Secondo piatto, “bisi in tecia o in antian, che xe la stesa roba” con un pezzo di formaggio tipo “calcagno de frate” di quello che sa gusto da niente “tanto par dire che go magnà formaio”.
Meraviglia!
Piccoli, teneri, dolci “bisi de Lumignan”.
Ma questa é un’altra storia, una storia nella storia. Un “toco de storia de Lumignan” una parte molto importante che rinasce nella “sagra dei bisi”. Una tradizione. “Lumignan, un toco de mondo”.
Annotazione. Parlando dei “bisi in tecia”, qualcuno dice di mettere ad inizio cottura, anche pomodori freschi “de pianta”. Mai! “I bisi xe bisi, i pomodori xe pomodori”.
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